Dopo quindici anni e più in cui nella didattica è promosso e incoraggiato in modo forte l’uso degli strumenti informatici e multimediali, si sente la necessità di fare un passo indietro.
Siamo arrivati a un punto in cui gli studenti conoscono i dispositivi tecnologici e i loro utilizzi in modo maggiore rispetto a chi dovrebbe insegnare loro il loro uso.
Siamo tutti d’accordo che i ragazzi nati negli ultimi venti anni sono immersi nella tecnologia già dalla nascita (per questo vengono definiti nativi digitali) e siccome la tecnologia abbraccia ogni aspetto della loro vita è quantomeno ipocrita e sicuramente impensabile slegarla dalla loro esperienza didattica.
Ma l’uso della tecnologia non ha portato solo comodità e benefici. La velocità con cui si accede alle informazioni, la sempre più scarsa voglia di leggere, perché gli strumenti tecnologici forniscono già tutti i tipi di intrattenimento, la necessità sempre minore di consultare dizionari o manuali, stanno portando a un impoverimento del lessico.
Il filosofo Umberto Galimberti ci richiama a una riflessione: si stima che uno studente del liceo di quarantacinque anni fa conoscesse più di milleseicento parole e invece uno studente di oggi arrivi a malapena a cinquecento. Il pensiero non si può sviluppare senza la conoscenza delle parole. Siccome, sempre secondo il filosofo “non si può pensare al di là delle parole che conosciamo”, c’è il rischio preponderante che anche la capacità di pensiero e riflessione stiano finendo per ridursi.
Internet fornisce ai ragazzi una quantità enorme di informazioni, ma queste spesso sono incoerenti e non connesse tra di loro come invece lo sarebbero in un libro. Questo rischia di portare a una diminuzione delle occasioni in cui si sviluppa il pensiero critico perché la velocità e l’immediatezza con cui si consultano siti e pagine web non danno l’opportunità di fermarsi a riflettere e analizzare le informazioni acquisite.
Il compito della scuola, secondo il filosofo, dovrebbe essere ripristinare queste capacità di analisi e riflessione per fare in modo che non si perdano. Galimberti sostiene infatti che “la scuola è il luogo dove riattivare il pensiero” ed è importantissimo farlo anche attraverso un grandissimo e importante strumento: il dialogo, la comunicazione, il parlare in classe. Scollegarsi da pc e software per ritrovare l’autenticità della comunicazione.
Leggere e analizzare i dati, comunicare e riflettere, in particolar modo riflettere tutti insieme guidati dall’insegnante, possono essere davvero attività che frenano la caduta delle competenze linguistiche che si è osservata negli ultimi anni ed è stata causata anche dall’uso sempre più massivo della tecnologia, in cui tutto è breve e sbrigativo.
Infine, un’altra questione fondamentale che solleva Umberto Galimberti è quella relativa all’intelligenza emotiva. I ragazzi vanno educati ai sentimenti, alla conoscenza e alla discriminazione tra bene e male per evitare il rischio dell’analfabetismo emotivo, grave tanto quanto le lacune culturali. Anche per questo obiettivo è necessario affidarsi allo strumento che regola e accompagna tutti i rapporti umani, sempre: la comunicazione.
La comunicazione e il parlare di emozioni e sentimenti sono ciò che frena l’analfabetismo emotivo e sviluppa l’empatia, e ciò è importantissimo specialmente tra i giovanissimi, sempre più catapultati in un mondo in cui ci sono sempre meno certezze, guide e figure autorevoli a cui affidarsi.
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Sono d’accordo con il professore Galimberti quando parla della comunicazione a scuola . Sono un insegnante e ho sempre sostenuto che una buona comunicazione rende i rapporti umani migliori, sviluppa l ascolto e si condivide in modo civile i pensieri. Purtroppo siamo al cosiddetto analfabetismo emotivo, non c’è dialogo perché la tecnologia ha preso il sopravvento. I giovani devono essere aiutati in questo passaggio a riflettere, analizzare e sviluppare pensieri critici ,non pensieri omologati.
Credo che gli/le insegnanti, generalmente parlando, siano essi stessi analfabeti nel campo emotivo, disinteressati alla comunicazione e scarsamente dotati di spirito critico. Sarebbe importante una campagna di formazione selettiva, per loro assunzione. Tutto sommato la normativa non è arretrata, ma non viene applicata per incompetenza e impossibilità di chiederne conto.
Finché la politica considererà il sistema educativo nazionale, dall’asilo nido al dottorato di ricerca, come un costo, e non come un investimento per il paese, non andremo da nessuna parte.
Un sistema educativo di qualità richiede investimenti degni di tal nome e stipendi adeguati. Allora potrai pretendere qualità dal corpo docente, monitorarne le prestazioni e licenziare gli incapaci.