Sono una ex insegnante di scuola primaria in pensione dal settembre 2023 dopo 41 anni di servizio. Avrei continuato volentieri per un altro anno di insegnamento per completare il ciclo dei cinque, ma ho dovuto, mio malgrado, lasciare i bambini al quarto anno e uscire di scena. I nostri legislatori, quando “scrivono” le leggi, dovrebbero metterci prima il cuore e poi la testa, specialmente nella scuola primaria. Non si possono abbandonare i bambini nell’ultimo anno di scuola. Io lo definisco una “vigliaccata“; ad ogni modo, questo è lo stato delle cose e a questo ci dobbiamo attenere, ma inviterei coloro che sono al comando a ripensarci e cercare di ovviare a questi disservizi che non giovano affatto ai bambini.
In 41 anni di servizio ne ho sentite tante e ne ho viste di tutti i colori, di tutto e di più! Ho insegnato come maestra unica, all’inizio della mia carriera, nei famosi moduli, nella scuola a tempo pieno, e nell’anno della mia immissione in ruolo ho insegnato in un modulo e ho accettato, in due classi prime, la doppia competenza! Un lavoraccio, ma ne sono uscita a testa alta e con grande soddisfazione.
Dopo questa lunga premessa – chiedo venia per la lungaggine e spero di non avervi annoiato – vorrei raccontarvi la mia breve esperienza durata meno di un anno con i primi approcci alla lingua “latina” nella classe terza, meno di due anni fa.
In una mattinata alle porte di primavera mi è capitato per puro caso un mio libro di latino forse chiestomi in prestito da qualche collega e poi lasciato lì in un cassetto ad ascoltare le lezioni di italiano, storia, musica e a farsi anche lui una cultura di tutto un po’. Mi è balenata l’idea di chiedere ai bambini se fossero interessati ad imparare qualcosina di latino, questa lingua sconosciuta ai più, e ho visto nei loro occhi, di primo acchito, lo smarrimento totale e contemporaneamente la curiosità di conoscere, sapere ed imparare.
Con grande energia mi hanno detto di sì, proviamo, e, con la collaborazione di uno dei due colleghi di sostegno, appassionato di lingua latina nonché laureato – Salvatore Pugliese – ho iniziato questa bella avventura. Non ho scritto nessun progetto, non ho fatto nessun lavoro extrascolastico e non l’ho detto neanche al Dirigente. Mi sono avvalsa solo del mio buon senso, senza nulla togliere all’insegnamento delle altre attività scolastiche e mi sono buttata, senza pensarci due volte, a trovare il metodo più adeguato per far conoscere la materia, senza traumatizzarli e senza creare confusione nei piccoli, tenendo presente le loro capacità e quello che potevo far conoscere e offrire.
Ho spiegato che cos’è il latino e abbiamo iniziato con le prime semplici paroline, rosa-rosae, puella-puellae, ecc., poi la prima declinazione, il verbo essere, “sum – es – est”, e contemporaneamente ripetevamo l’ausiliare essere in italiano; il soggetto e i complementi; il nominativo, il genitivo, il dativo (soggetto, complemento di specificazione, complemento di termine) ed altro ancora.
Imparavano a memoria così come si fa e intanto prendevano consapevolezza che l’italiano e il latino sono complementari e che per imparare correttamente l’italiano occorre conoscere bene anche il latino. Devo dire però che la sintassi io la spiegavo fin dalla classe prima parlando del “soggetto” riferito alle persone ed animali. Siamo riusciti a conoscere la seconda declinazione, i primi approcci alla terza e il verbo avere, habeo, habes, habet, ecc… Grande entusiasmo e soprattutto voglia di conoscere, lo si poteva intravedere nelle loro richieste quotidiane – “Maestra, oggi facciamo latino?” – L’entusiasmo nei bambini è insito, bisogna solo trovare la maniera giusta per farlo esplodere. Non avevo un metodo specifico per insegnare il latino e me lo sono inventato facendo riferimento alla mia esperienza personale.
Durante il mio percorso di insegnamento del latino nella classe terza, è stata un’esperienza notevole vedere i bambini imparare il “Pater Noster”. Quando lo hanno recitato alle catechiste, sono rimaste di stucco, poiché non conoscevano neanche una parola di latino. Questo momento ha evidenziato non solo il progresso dei miei piccoli studenti, ma anche la preziosa ricchezza della loro esperienza linguistica in un contesto che va oltre i confini tradizionali della classe.
Per insegnare ai bambini non occorrono programmazioni lunghe chilometri che poi non si fa in tempo a completare e forse, un azzardo, neanche ad iniziare; non occorrono metodi digitali a scapito di quelli tradizionali che hanno fatto la storia della scuola tradizionale e che adesso sembrano essere banditi perché non funzionano più, a detta di alcuni, perché fa comodo. Per insegnare occorrono poche semplici cose: voglia di fare, entusiasmo nel fare, saper trasmettere per fare innamorare e tanto amore per la scuola, per l’insegnamento e verso i bambini. Nient’altro.