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OPINIONI

«Lasciamo stare Cenerentola». Fiabe e favole sono materie letterarie in cui conta la sostanza, non l’apparenza

“Siamo sicuri che se Biancaneve fosse stata una cozza il cacciatore l’avrebbe salvata lo stesso?”. Paola Cortellesi inaugura l’anno accademico della Luiss con quello che da più parti viene giudicato un monologo sugli “stereotipi sessisti”.

Alcune battute del discorso riguardano Cenerentola e Biancaneve.: “Perché il principe ha bisogno di una scarpetta per riconoscere Cenerentola…” oppure… “faceva la colf ai sette nani”.

Ora, il punto è che fiabe e favole sono materia letteraria. Soprattutto in un contesto accademico, non si possono improvvisare giudizi, seppur in buona fede, e correre il rischio di scadere nell’intento opposto a quanto voluto. Questo dispiace, ma è un principio generale: ognuno ha competenza nel proprio settore.

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Le fiabe originali raccolte dai fratelli Grimm, prima della loro edulcorazione ottocentesca, raccontavano vicende di terribile durezza, di madri che uccidevano figli, di padri orchi e cannibalismo, di bambini abbandonati che si perdevano nei boschi e di buone vecchine che si trasformavano in streghe. Le storie ancestrali del nostro continente, della nostra civiltà, le radici delle culture centro-europee.

Uno dei due fratelli Grimm, Wilhelm, volle “ammorbidire” già la prima edizione del 1812 delle fiabe popolari, “Kinder- und Haus Märchen” (“Fiabe di casa e di bambini”, prima parte, quelle originali) che erano state raccolte dalla bocca degli anziani, nei villaggi del centro Europa. Su questo punto ebbe anche forti contrasti col fratello Jacob, che invece preferiva un approccio più fedele, e si oppose alle modifiche di contenuti e descrizioni a cui oggi siamo abituati.

Bellissime però – le storie, non sempre le protagoniste – visionarie, affascinanti, in cui il pensiero e l’immaginazione si perdevano in una dimensione trasfigurata che forse sì, rendeva possibile alla ragione accettare. Ciò che non ha parole. Il male, che allora, come oggi, inorridiva e inquietava.

Solo pochi giorni fa, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini dava notizia sui suoi canali social del flop del lungometraggio animato Wish, il centesimo film Disney che a suo dire sarebbe vittima dell’“eccesso di politically correct”. “Cancellare fiabe e sogni non porta lontano!”, ha commentato il ministro. Ancora fiabe.

Ora viene da chiedersi, per quale motivo a queste non possa essere lasciato il loro ruolo – di genere letterario e fantastico – e occorra per forza spostare la discussione su un piano di polemica politica. Per quale motivo il serissimo argomento del ruolo e della dignità femminile non possa essere affrontato diversamente.

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Si ricorda talvolta la splendida interpretazione di Anna Magnani, nella capitale occupata dai nazisti in “Roma città aperta”, guardando le ambientazioni in “C’è ancora domani” , diciamolo pure, storicamente non troppo accurate. Questo senza nulla togliere alla regista e attrice Cortellesi, tutti abbiamo visto volentieri il suo film, e speriamo serva a sensibilizzare veramente sul problema dei femminicidio.

I capolavori, però, lasciamoli stare: c’è un motivo per cui durano nei secoli. Si trasformano, giustamente: ma, nel fondo, qualcosa insegnano sempre.

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