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OPINIONI

Basta con gli insegnanti seduti in cattedra arroccati dietro un programma da finire

Oggi, molto più che in passato, si parla di malessere giovanile in relazione alla scuola. Di recente hanno fatto discutere le parole dello psicoanalista Massimo Ammaniti, secondo cui i giovani sono cambiati e la scuola è rimasta indietro. Di fronte al disagio psicologico degli studenti, infatti, la scuola costituisce un ulteriore ostacolo da superare e non un luogo sicuro. Qual è la soluzione? E soprattutto: ne esiste una?

disagio generazionale

Le parole di Massimo Ammaniti si riferiscono ad alcune interviste rilasciate dagli studenti a Repubblica link esterno, e che fanno emergere alcune delle problematiche psicologiche frequenti nell’ambiente scolastico. Dalle loro parole, emerge un quadro in cui la scuola contribuisce all’ansia degli studenti. Crisi emotive, attacchi di panico e disturbi alimentari sono molto più frequenti che in passato, e si legano ad altri aspetti del contesto scolastico.

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Ci sono insegnanti empatici e comprensivi ma anche insegnanti poco propensi al dialogo. Allo stesso tempo, la valutazione avviene esclusivamente sulle competenze scolastiche e non prende in considerazione la personalità degli studenti. In più, a scuola manca una vera e propria formazione “di vita”, programmi scolastici e mondo reale sono distanti, non c’è un supporto psicologico efficace.

Da una parte abbiamo insomma un’istituzione scolastica che si vuole rinnovata e innovativa: c’è lo psicologo a scuola, ci sono i progetti dedicati, c’è l’attenzione alle nuove tematiche. Dall’altra parte, però, possiamo rintracciare nella scuola criticità profonde che permangono anche oggi. I giovani esprimono quindi un malessere che non dipende da questa o quella iniziativa, quanto da un’impostazione di fondo.

l’analisi dello psicoanalista Ammaniti

Proprio sulle dichiarazioni dei giovani si concentrano le parole di Massimo Ammaniti in un’intervista a Repubblica link esterno. Le testimonianze dei ragazzi che vedono nella scuola un luogo che provoca ansia e malessere, sostiene lo psicoanalista, rappresentano una richiesta d’aiuto: ignorarla vorrebbe dire rinunciare al futuro. Allo stesso tempo, non sorprende che i giovani abbiano un livello di attenzione molto più basso rispetto al passato: la fruizione dei contenuti attraverso lo smartphone ha trasformato la mente degli studenti, e non in meglio. Continua Ammaniti:

I ragazzi sono cambiati, anche da un punto di vista neurobiologico, ma la scuola è rimasta indietro, antiquata, anzi alla grande crisi esistenziale dei giovanissimi risponde tornando ai voti, alla disciplina, a una meritocrazia che non si sa bene cosa sia.

Massimo Ammaniti

Insomma i giovani sono cambiati e la scuola è rimasta indietro, un cambiamento che fatica a rendere conto dei loro problemi attuali. Gli smartphone in particolare, sostiene lo psicoanalista, sono strumenti di grande utilità ma dai rischi enormi quando regalati prima dell’adolescenza. D’altronde, non è un caso che molti Paesi abbiano deciso di vietarli in classe, nonostante le loro potenzialità.

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Ripensare i metodi di insegnamento

Per Massimo Ammaniti, la scuola dovrebbe ripensare i metodi di insegnamento e rimettere gli studenti al centro del progetto scolastico. In alternativa, i docenti continueranno a parlare in aule che mortificano il desiderio di muoversi e ad una platea che non li segue più. Con tutta la frustrazione che ne consegue e che si aggiunge ad un’ulteriore questione.

Infatti, oggi i giovani sono per lo più figli unici che crescono in famiglie iperprotettive e si scontrano con una scuola in cui vengono valutati con metodi tradizionali. Non sono più persone ma giudizi e numeri, in una società sempre più atomizzata e immediata, riflesso della vita sui social media.

Insomma, per lo psicoanalista i ragazzi vogliono molto di più. Non hanno bisogno di insegnanti che sembrano venire dal passato ma di educatori nel senso più ampio del termine. Di maestri di vita, come direbbe Vincenzo Schettini, che conoscano la differenza fra preparazione accademica e benessere psicologico. E che capiscano quando concentrarsi sull’una, e quando dedicare loro stessi all’altro.

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