Tema importante e controverso, quello dell’educazione fisica a scuola. Dell’educazione alla salute, al rispetto delle regole, alla cura e alla conoscenza di sé e del proprio corpo, alla responsabilità di gruppo, a orari, tempi e disciplina, al sacrificio. Tutto quanto condensiamo in un termine troppo sintetico: “sport”.
“Sport” è un termine inglese, ed è l’abbreviazione della parola “disport”, che significa “divertimento”. “Disport” deriva a sua volta dal termine francese “desport”, che ha sostanzialmente lo stesso significato.
Potremmo aggiungere che il francese, lingua neolatina, deve il suo “desport” al latino “deportare”, avvicinandosi così alla sua radice originaria: “deportare”, quindi, “portarsi lontano”, nel senso di “andare fuori dalla propria città, dalle proprie mura, per svolgere attività fisiche”. A sua volta, la parola “divertimento” deriverebbe dal verbo latino “divertere”, che significa ancora “allontanarsi”.
“Ars athletica”, “ludus”, sono invece le principali traduzioni di “sport” in latino, che, personalmente, mi piacciono di più. In quanto l’esercizio fisico è veramente un’arte, non per niente parliamo di “stili” sportivi. Ho già osservato altrove: l’ultimo set vincente di Jannik Sinner all’Australian Open si potrebbe paragonare a un’opera classica, nel suo equilibrio perfetto. Una battuta da manuale, realizzata con una naturalezza che stupisce, soprattutto se a fine partita. Alcuni colpi che trattengono l’avversario nella parte sinistra del campo, per poi costringerlo a spostarsi sull’angolo destro. Ed infine il dritto vincente, a fondo campo, sulla parte opposta, quasi sulla linea bianca. E quindi… potremmo anche ricordare, un po’ banalmente, la locuzione “mens sana in corpore sano”, tratta da un capoverso delle Satire di Giovenale. Per dire quanto gli antichi stimassero l’educazione fisica, concetto anche ripreso in altre epoche storiche.
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E nella nostra? Stiamo dando sufficientemente spazio a questa materia fondamentale per un armonico sviluppo soprattutto in età infantile e adolescenziale? Non molto, osservando anche il panorama europeo, nel quale notiamo che in Paesi a noi non troppo lontani si dedicano anche sei o sette ore settimanali all’esercizio fisico, ma, più in generale, al movimento e alle attività all’aria aperta.
E poi, diciamo pure: anche il “portarsi lontano”, Jannik Sinner ce lo può insegnare. Già a tredici anni indipendente, per seguire gli impegni sportivi, “si sente a casa”, in Australia. Non dimenticando i genitori, a cui dedica, commuovendo tutti, la vittoria. Un bell’ esempio, davvero.
Gli antichi avevano ragione. Un “andare oltre” in molti sensi, se vogliamo utilizzare un linguaggio, etimologicamente, sportivo, in senso fisico e morale, in questo caso.
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Jannik Sinner ha dato una lezione magistrale, ai giovani, ai ragazzi, agli adulti che riempiono adesso i campi di tennis. Abbiamo un idolo positivo, un esempio nell’epoca della prestazione estrema, dove l’identità è performance ed esibizione. Ma la perfezione è altra cosa, un’arte, nel senso più proprio di “ars”: un lavoro continuo di costruzione, rielaborazione e ricostruzione. Quello che viene compiuto tutti i giorni, tutte le ore, anche da migliaia di ragazze e ragazzi appassionati e disciplinati. Ricordiamo, che ci sono anche loro. Che andrebbero sostenuti di più.
Che a scuola dovremmo parlare del grande campione e delle sue meritate vittorie, e di tutti gli atleti che le sognano. Sperando in tanti piccoli Sinner che stanno crescendo e che ci aiuteranno a credere in un mondo migliore.