Se torno indietro con la memoria e penso agli anni in cui ho frequentato le scuole elementari (allora si chiamavano così) le prime emozioni che mi vengono in mente sono ansia e paura.
Purtroppo, per molti di noi, bambini cresciuti negli Anni Ottanta, l’apprendimento e l’educazione in generale sono collegati a queste emozioni negative: paura del rimprovero del maestro, paura del castigo o del brutto voto, paura della reazione dei genitori a fronte di un insuccesso scolastico, ansia nell’affrontare una prova e nell’esprimere una propria opinione.
In passato, ahimè, la scuola era tendenzialmente poco attenta alle esigenze affettive ed emotive degli alunni: alcuni insegnanti alzavano le mani, non dimostravano grandi capacità empatiche, usavano un linguaggio che spesso sminuiva e umiliava gli scolari.
E tutto ciò sembrava ai più normale.
In generale, anche nelle famiglie, le emozioni dei bambini erano considerate poco importanti:
“È piccolo non capisce.
Ma sì gli passerà.
Non piangere che diventi brutto.
Che caratteraccio che ha questo bambino.”
Le emozioni dei più piccoli venivano liquidate con queste poche parole: scoppi di ira e crisi di pianto erano definiti poco più che sciocchi capricci o frutto di indoli caratteriali scontrose, sulle quali non si poteva intervenire. Solo oggi sappiamo come questa pedagogia abbia contribuito a creare in alcuni di quei bambini, oggi diventati adulti, problemi di bassa autostima, ansia, panico, depressione.
Ma, per fortuna, i tempi sono cambiati.
Oggi tutte le ricerche in ambito neuroscientifico sostengono una tesi del tutto opposta: l’affettività condiziona positivamente l’apprendimento e tutti i processi cognitivi e l’insegnante, in quanto educatore, ha il ruolo fondamentale di aiutare i propri alunni nella conoscenze e nella gestione delle proprie emozioni.
Per questo processo è stato coniato il termine di alfabetizzazione emozionale: una persona, per essere in equilibrio, deve imparare a distinguere i propri stati emotivi e deve poterli esprimere in modo opportuno.
Le emozioni, alla fine sono impulsi ad agire: se il bambino non è in grado di interrogare la sua interiorità e distinguere le varie emozioni, non riuscirà nemmeno a riconoscere quelle degli altri, né riuscirà a stabilire relazioni appropriate in ambito famigliare, scolastico e professionale.
L’aspetto emotivo poi influisce molto anche nella costruzione dell’autostima dell’alunno: un bambino che si sente compreso, accolto, valorizzato, accettato come individuo unico, si connette emotivamente all’insegnante, apprende meglio, sa di poter essere in grado di imparare ed è motivato.
Ed è qui che entra in gioco l’intelligenza emotiva, un requisito indispensabile per qualsiasi buon insegnante. Già Daniel Goleman, nei suoi studi, aveva individuato i diversi tipi di intelligenza umana tra cui quella emotiva, sociale, che permette di costruire relazioni positive con gli altri attraverso l’empatia, l’autocontrollo e l’autoconsapevolezza.
L’autore del bestseller “Intelligenza emotiva” definisce l’empatia come la capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli altri e definisce il livello di maturità emotiva di un essere umano. L’empatia può essere allenata, addestrata e trasmessa: per questo è davvero molto importante per un insegnante avere questa capacità e coltivarla nel lavoro quotidiano in classe.
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Con questo cambio radicale di prospettiva siamo così passati dall’idea di insegnante della paura a quello affettivo: un insegnante che non è permissivo o poco autorevole, bensì un docente che sa comprendere e dialogare con i bambini, che è vincente, perché aiuta realmente l’alunno nello sviluppo del suo potenziale educativo.
E proprio in quest’ottica mi ha piacevolmente sbalordito un sussidiario delle letture di quarta e quinta chiamato Missione Compiuta , in particolare il suo Quaderno delle Verifiche.
Il corso è un progetto editoriale innovativo, incentrato sul concetto di apprendimento attivo e che mira a sollecitare e valorizzare i diversi tipi di intelligenza degli alunni.
Tra gli allegati forniti, gli studenti hanno a disposizione il sopracitato “Quaderno delle Verifiche”, uno strumento di valutazione e autovalutazione, che rivoluziona il concetto stesso di valutazione, intesa come mezzo di crescita personale e acquisizione di auto consapevolezza.
Il quaderno biennale propone una serie di attività suddivise per quadrimestri e lavora su ascolto, lettura e comprensione, riflessione linguistica, produzione, compiti non noti e consente una valutazione partecipativa, nella quale l’errore è inteso come una risorsa per crescere.
Questo permette ai bambini di far crescere in loro la consapevolezza che le verifiche non servono solo per essere giudicati, ma quanto più per capire quali possono essere i propri punti di forza o debolezza. Con questo cambio di prospettiva l’attività di valutazione non è più un momento stressante, di agitazione o, peggio ancora, di ansia, ma un momento costruttivo di crescita.
Il quaderno infatti va lasciato a scuola e propone attività di valutazione partecipativa, slegando le verifiche dall’ansia di prestazione e dal confronto con le aspettative dei genitori.
MISSIONE COMPIUTA LETTURE
Scopri il nuovo sussidiario delle letture con il Quaderno delle Verifiche di valutazione e autovalutazione per la crescita personale dell’alunno
Così, con un insegnante affettivo al proprio fianco e gli strumenti giusti, apprendere non sarà più una corsa ad ostacoli, o uno slalom tra paura e ansia, ma un viaggio felice verso una crescita serena.