Mi sono sempre considerato un insegnante attento alle tematiche dell’inclusione e, per questa ragione, ho sempre prestato grande attenzione ai bambini svantaggiati dal punto di vista economico, sociale e linguistico, senza mai dimenticarmi di valorizzare le eventuali differenze dovute a nazionalità e religioni differenti. Nonostante ciò, dopo aver seguito il webinar organizzato dal Gruppo Editoriale ELi e intitolato “Stereotipi a colori”, mi sono ritrovato a riflettere su quanto poco, in effetti, si faccia nelle classi per superare le differenze di genere e, soprattutto, su quanto noi stessi, senza rendercene conto, contribuiamo a veicolare pericolosi stereotipi a scuola.
Le due relatrici del webinar, Laura Stano e Flavia Zampighi, autrici già apprezzate per il sussidiario delle letture Il Giardino dei Racconti, hanno infatti evidenziato come, nonostante il tema sia molto sentito anche in virtù degli obiettivi dell’Agenda 2030 in tema di parità di genere, a scuola si faccia ancora molta fatica a fornire un’educazione equa ed inclusiva. La buona notizia è che c’è molto che si può fare per educare le nuove generazioni alla parità, a cominciare dal prendere consapevolezza di ciò che, inavvertitamente, comunichiamo ai bambini con le nostre affermazioni.
Superare gli stereotipi di genere
Uno dei suggerimenti forniti dalle relatrici del webinar è quello di fare attenzione alle parole che si usano. Sembra qualcosa di banale, ma non lo è. Le parole, ben lungi dal volare nel vento, attecchiscono, feriscono, ma soprattutto modellano la realtà. Lo fanno per noi adulti e lo fanno a maggior ragione per i bambini, che stanno ancora costruendo il proprio mondo, riempendolo di valori, modelli e significati. E attenzione, non si tratta di elaborare chissà quali massimi sistemi, ma di sforzarsi di adottare un linguaggio che tenga conto delle differenze di genere.
Ad esempio, perché non abituarsi a salutare la classe nominando sia i bambini che le bambine, invece di affidarsi a un generico “buongiorno bambini”? In classe non ci sono solo loro, ci sono anche le bambine, che sentendosi chiamate in causa, reagiscono prontamente manifestando maggiore attenzione e disponibilità. Inoltre, è essenziale evitare di cadere in facili tranelli, come quello di consegnare un pallone ai bambini e una corda per saltare alle bambine durante la ricreazione. Anche questo, sebbene tacito, è un modo che finisce per veicolare un messaggio ben preciso: tu, bambina, non sei adatta a giocare a pallone. I giochi, come le attività scolastiche, devono invece essere alla portata di tutti, maschi e femmine, ribadendo in questo modo l’esistenza di un universo nel quale tutti possono esprimersi seguendo i propri gusti, attitudini e, in definitiva, i propri sogni. Perché è inutile ripetere all’infinito che non esistono giochi, colori, attività da femmine o da maschi, se poi, con le nostre direttive, veicoliamo messaggi che entrano in contraddizione con quanto affermiamo.
Il potere delle immagini
C’è un altro campo in cui gli stereotipi impattano con vigore sulla percezione dei bambini: le immagini. Colorate, divertenti o istruttive che siano, le immagini hanno un enorme potere di persuasione. Non è un caso, infatti, che siano sfruttate con successo in campo pubblicitario per diffondere messaggi, ma soprattutto per costruire l’identità di un brand. Per questa ragione, affinché sia possibile ridurre l’impatto degli stereotipi a scuola, è necessario ripensare le immagini, privilegiando fotografie e disegni che presentino in egual numero maschi e femmine. E se i bambini devono realizzare un cartellone o un “lavoretto”, suggeriamogli di fare altrettanto, in modo che anche fra loro possa prendere forma l’idea che entrambi i sessi hanno diritto ad essere rappresentati, poiché vantano eguale valore.
L’immaginario come veicolo di future discriminazioni
I bambini, soprattutto quelli della primaria, si trovano in quella fase in cui cominciano a farsi un’idea del mondo e, di conseguenza, del ruolo che spetta loro. Ecco quindi che appare di fondamentale importanza mandare un messaggio chiaro e univoco per tutti: potete essere ciò che volete, potrete diventare ciò che desiderate. Veicolando messaggi stereotipati, infatti, i bambini potrebbero convincersi del fatto che potranno certamente diventare medici e astronauti, mentre le bambine rischierebbero di convincersi che per loro le opzioni siano limitate. Ecco, dunque, che anche quando, ad esempio, si dettano problemi di matematica, l’attenzione deve essere massima: non deve essere solo la mamma che va a comprare un chilo di mele, così come non dovrà essere necessariamente il papà che deve cambiare i soldi in banca. Sono piccoli dettagli che, però, nella costruzione del mondo di cui parlavamo prima, fanno la differenza: se abituiamo i bambini a pensare a un papà che va a fare la spesa o a una mamma che va in banca, gli orizzonti si allargano e il sessismo rimarrà un retaggio del passato.
NEL CUORE DELLE PAROLE
Scopri il nuovo sussidiario di letture per la quarta e la quinta della scuola primaria, scritto dalle autrici del Giardino dei Racconti
I libri di testo
Ci sono moltissimi libri per la scuola, ottimi e ben organizzati, ma mi sono reso conto che, nello scegliere quali adottare, non ho mai prestato la necessaria attenzione all’inclusività di genere. Solitamente, infatti, si presta molta attenzione alla sensibilità religiosa, al rispetto delle differenze linguistiche ed etniche, ma gli scenari proposti dai libri didattici dovrebbero essere anche liberi da quegli stereotipi che condannano i bambini, generazione dopo generazione, a ripetere gli stessi errori e orrori di sempre. È quindi positivo che nei sussidiari siano presenti percorsi facilitati per i BES, esercizi per preparare i bambini alle verifiche e riassunti che facilitano l’apprendimento; tuttavia, dobbiamo anche iniziare ad analizzare i racconti e i testi, osservando se la parità di genere sia valorizzata. Nonostante le profonde diversità, deve emergere chiaramente che non esistono differenze tra bambini e bambine e che entrambi possono aspirare a diventare sportivi di successo, imprenditori di chiara fama o ricercatori qualificati. O, se preferiscono, attori, ballerini e artisti, indipendentemente dal loro genere.
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Quindi, oltre che nei racconti antologici, bisogna prestare attenzione anche alla parte più propriamente didattica. Pensiamo, ad esempio, a quando si studiano “gli uomini della preistoria”: perché non iniziare a parlare anche “delle donne della preistoria”? Potrebbe sembrare una mera formalità, ma non lo è, perché il linguaggio influisce profondamente sul nostro modo di pensare e di agire. È evidente, quindi, che modificare il nostro approccio all’universo linguistico rappresenta un passo essenziale nella costruzione di una scuola più inclusiva e priva di stereotipi, che contribuiscono al modellamento di una realtà da superare decisamente.
Equilibri
Nell’ambito degli sforzi per ridurre gli stereotipi a scuola, il Gruppo Editoriale ELi mi ha colpito come esempio illuminante di come l’editoria possa svolgere un ruolo attivo e concreto in questa battaglia. Attraverso la sua iniziativa denominata “Equilibri”, in collaborazione con l’Università di Macerata, questo editore, recentemente annunciato come il più utilizzato dagli insegnanti di scuola primaria, ha preso l’impegno di rivedere e innovare i materiali didattici con l’obiettivo di promuovere una cultura della parità di genere e della valorizzazione delle differenze. Le azioni intraprese includono la cura nella selezione dei contenuti per assicurarsi che riflettano un equilibrio sociale e culturale, un’attenta valutazione delle immagini per combattere gli stereotipi attraverso il potere del linguaggio visivo e l’adozione di un linguaggio testuale inclusivo che superi le discriminazioni di genere. Questo progetto non solo mira a qualificare i libri di testo come strumenti didattici liberi da pregiudizi, ma intende anche ispirare studenti e docenti a riflettere criticamente sulle questioni di giustizia sociale e parità, enfatizzando l’importanza di un approccio educativo che riconosca e celebri le diversità.
Alla fine, ciò che emerge è ciò che già sapevamo, ovvero che la cultura dell’inclusione comincia sui banchi di scuola. Quello su cui, forse, non abbiamo mai riflettuto abbastanza è che per noi insegnanti ciò rappresenta una sfida, una sfida che sta a noi raccogliere e, ovviamente, vincere.