Il Problem Based Learning è una metodologia di insegnamento attiva che ha l’obiettivo di veicolare contenuti e competenze nel contesto della risoluzione di un problema, aspetto dal quale, peraltro, prende il nome. Le origini di questa metodologia risalgono all’ambiente medico statunitense della fine degli anni ’60, dove si osservò che anche gli specializzandi più brillanti avevano evidenti carenze in ambito pratico.
La soluzione parve ovvia: affiancare alla preparazione teorica una serie di laboratori pratici che potessero mettere gli studenti nella condizione di sperimentare la complessità dei problemi reali. In ambito didattico, il Problem Based Learning riprende questa origine: mettere gli studenti nella condizione di apprendere contenuti non a partire da uno studio teorico e astratto, ma dalla risoluzione di un problema, naturalmente connesso a contenuti disciplinari. Tale metodologia è dunque attiva perché, di fronte a un problema da risolvere, non esiste una sola soluzione, ma una gamma di possibilità che gli studenti, per lo più in gruppo, devono esplorare e valutare, proponendosi “attivamente” come risolutori di un problema.
Quando si parla di “didattica per problemi”
Occorre preliminarmente chiarire un aspetto fondamentale, ossia: quando si parla di didattica per problemi in luogo di didattica per progetti (Project Based Learning) e in luogo di semplici esercizi. Partiamo dal primo caso; la didattica per progetti è quell’approccio attivo che, mediante la realizzazione di un progetto più o meno articolato, porta all’acquisizione di contenuti e competenze. Esempi di progetti possono essere: un podcast, una locandina, uno studio di caso, un video, un sito web e molto altro.
In questo contesto, il progetto è dato in anticipo, può essere deciso dal docente oppure concordato con gli studenti, ma in ogni caso il progetto è uguale per tutti i gruppi di lavoro. In altre parole: gli studenti non devono esplorare soluzioni possibili, devono piuttosto realizzare qualcosa a partire da una serie di vincoli, il più importante dei quali è la tipologia di progetto. Il secondo caso è l’esercizio; esso si configura, nella maggior parte dei casi, come la risoluzione abbastanza rigida di un protocollo appreso. In tali casi, lo spazio per la creatività, per il pensiero divergente, per la soluzione alternativa e magari anche inaspettata è pressoché nullo. L’esercizio non prevede, di norma, molte soluzioni e anche i protocolli di risoluzione sono spesso piuttosto preordinati.
La didattica per problemi, al contrario, mette gli studenti di fronte a uno scenario nuovo che richiede nuove soluzioni e non esclude che queste possano essere molteplici, tutte egualmente esatte, anche se magari non tutte egualmente efficaci. Questo è il classico scenario didattico di un Problem Based Learning.
Prerequisiti di un modulo in “didattica per problemi”
Prima di avviare
Una sperimentazione di tal genere, è opportuno che il docente, o l’educatore, rifletta sui seguenti aspetti, onde evitare il fallimento dell’esperienza. Verrà presa in considerazione la circostanza, non vincolante ma fortemente consigliata, di un modulo in didattica per problemi da far svolgere in gruppo.
Gestione della classe: Pensare di poter gestire studenti che lavorino insieme senza una vaga idea di come funzionino le dinamiche di gruppo potrebbe essere un errore di valutazione piuttosto grave. Non solo, nel Problem Based Learning è decisamente probabile che gli studenti propongano al gruppo tante soluzioni quanti sono i componenti del gruppo medesimo, pertanto le varie posizioni dovranno essere negoziate in modo costruttivo. Questo aspetto è tutto tranne che semplice e scontato, pertanto si consiglia di effettuare moduli in didattica per problemi solo dopo aver gestito tali dinamiche.
Studio dei prerequisiti: Uno degli aspetti progettuali più complessi per il docente è lo studio dei prerequisiti, ossia: occorre assegnare un problema che poggi su contenuti e competenze già in parte presenti negli studenti. In caso di sbilanciamento verso il basso, ci troveremo ad assegnare un esercizio; in caso di sbilanciamento verso l’alto, ci ritroveremo ad assegnare un problema troppo complesso e quindi non risolvibile. Occorre mettere in conto di poter sbagliare, anche più volte, in questo frangente; se ciò accade, è opportuno pensare a un momento intermedio in cui si ricalibra il problema e, magari, si danno spunti e suggerimenti ad hoc.
Analisi della zona di sviluppo prossimale: Parallelo al problema dei prerequisiti è quello della cosiddetta zona di sviluppo prossimale, ossia quell’area di intervento e conoscenza che, all’atto della somministrazione del problema, non è ancora raggiunta, ma si auspica raggiungibile proprio mediante lo svolgimento del problema dato. Anche qui, le prime volte non sarà semplice tarare questo aspetto, specie se siamo abituati a una didattica frontale ricca di esercizi e ripetizioni più o meno passive di contenuti da studiare.
Le fasi di un Problem Based Learning
Premesso che non esiste una ricetta unica per un buon Problem Based Learning, possiamo comunque dire che esistono dei protocolli collaudati che possono tornarci utili. Il seguente è uno di questi. Vediamo quindi le fasi in cui suddividere un modulo di didattica per problemi:
Introduzione: In questa fase, di certo breve, il docente spiega i confini del problema senza avanzare suggerimenti; chiarisce gli obiettivi didattici e trasversali e sonda le eventuali preconoscenze.
Compito: In questo secondo passaggio, l’insegnante non entra nel merito dei contenuti ma illustra e suggerisce i momenti salienti della ricerca che deve portare alla risoluzione del problema.
Risorse: Come si evince dal nome di questo passaggio, in questo caso il docente fornisce le risorse essenziali (possono essere bibliografiche, sitografiche o materiali), grazie alle quali avere dei buoni spunti di lavoro.
Processo: Anche in questo caso, si suggeriscono, specie se il problema è complesso e articolato, dei momenti da svolgere prima e altri da effettuare dopo; in classi abituate al Problem Based Learning questo aspetto potrebbe non essere necessario.
Suggerimenti: Se la classe mostra difficoltà, dopo un tempo di una settimana o due, il docente può fornire suggerimenti utili a portare avanti la risoluzione del problema.
Conclusione e valutazione: In questa fase, si confrontano le varie soluzioni e si procede alla valutazione sulla base degli obiettivi fissati; sempre formativamente opportuna e consigliabile l’autovalutazione.
Un capovolgimento della didattica tradizionale
Dato quanto premesso, potrebbe sembrare che tale metodologia possa essere molto simile alla didattica trasmissiva o alla risoluzione di un esercizio; in realtà siamo di fronte a un approccio molto diverso, per certi aspetti legato in modo diretto al celebre metodo sperimentale galileiano. Proviamo a elencare le principali differenze rispetto alla didattica frontale:
– Contesto reale: Nel Problem Based Learning si apprende sempre in contesti reali, magari simulati, ma reali; non avremo quindi a che fare con astrazioni o problemi puramente teorici.
– Precedenza alla pratica sulla teoria: Mentre il classico protocollo di insegnamento parte dalla teoria per arrivare all’esercizio, qui si parte dal problema per arrivare, semmai, a una generalizzazione successiva.
– Più soluzioni: Come detto, i problemi possono prevedere varie soluzioni e, anzi, talora possono anche non avere soluzioni; anche in questo caso, tuttavia, molti sicuramente saranno comunque i contenuti appresi.
– Creatività: Proprio perché le soluzioni sono numerose, è decisamente probabile che queste mettano in gioco anche la creatività degli studenti, aspetto non banale né secondario, anche in ordine a questioni di motivazione.
Cosa si può concludere rispetto alla didattica per problemi? Di certo che è una metodologia molto sfidante che riesce a coinvolgere anche quegli studenti mediamente disinteressati, proprio perché è richiesta una componente creativa non sempre presente nei moduli di didattica tradizionale. Sicuramente questo approccio richiede molto tempo e non è adatto a chi volesse massimizzare la memorizzazione di tanti contenuti in ristrette unità di tempo; viceversa, il Problem Based Learning mette al centro una reale didattica per competenze che mira anche a lavorare sulle cosiddette soft skills.
Infine, lavorare con moduli di didattica per problemi aiuta gli studenti a confrontarsi con la complessità del reale, in altre parole mostra loro come anche un problema di semplice risoluzione abbia tali e tante varianti da essere visto e risolto sotto molteplici prospettive. Questa caratteristica di certo aumenta il coefficiente di difficoltà del problema, ma, contemporaneamente, mette tutti (o quasi tutti!) nella condizione di poter dire la propria in un determinato ambito, diminuendo fortemente la frustrazione che è spesso causa di demotivazione e abbandono.