La società odierna, a cominciare dalla fine degli anni cinquanta, è protagonista di una costante proliferazione e moltiplicazione dei canali d’accesso all’informazione, i quali hanno modificato le modalità di comunicazione. Si è assistito al passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale, attraverso l’adozione di computer e di memorie esterne.
Le generazioni a cavallo tra il boom tecnologico e l’attuale quarta rivoluzione industriale, vivono in un ambiente esperienziale che offre loro la possibilità di interagire sin dai primi anni di vita con le tecnologie multimediali. Computer, tablet, cellulari, iPod e tanto altro, hanno oramai invaso ogni luogo e contesto e risulta difficile immaginare un adulto – ma anche un bambino – sprovvisto di almeno uno di questi. Possedere un PC o uno smartphone, equivale a saperlo anche utilizzare?
La maggior parte di noi risponderebbe a questa domanda in modo affermativo, in virtù della padronanza e dimestichezza tecnologiche che bambini molto piccoli oggigiorno dimostrano di possedere. La domanda, allora, diventa un’altra ancora: i bambini utilizzano gli strumenti multimediali in modo consapevole?
Se chiedessimo loro di installare un’applicazione, di scattare una foto o di shoppare (“acquistare”, “ottenere” nel gergo della generazione “Z”) pass e livelli in un video giochi, sfonderemmo una porta aperta. Se, invece, gli proponessimo di scrivere su un foglio word, di copiare e incollare una frase, di inserire un’immagine salvata sul desktop, saprebbero di cosa stiamo parlando?
LA SCUOLA TRA INNOVAZIONE E PANDEMIA
La scuola e tutto il mondo dell’istruzione e della ricerca, fa sempre più affidamento alla tecnologia per ottimizzare tempi e risorse, ma anche per rispondere in maniera adeguata alle richieste di un mercato mondiale oramai 3.0.
Fioccano progetti e finanziamenti volti a diffondere la cultura digitale, soprattutto tra i giovani e gli ambienti da loro frequentati, e così le aule delle scuole aprono le porte a reti wi-fi super veloci, a tablet di ultima generazione, a lavagne interattive multimediali (L.I.M.) e a laboratori d’informatica. Spesso la presenza di tali strumenti richiede, da parte degli insegnanti in primis, corsi di formazione e di aggiornamento , ma, soprattutto, una cultura al mondo digitale che non tutti possiedono o gradiscono imparare.
Chi, viceversa, ha una buona capacità di destreggiarsi, si approccia agli strumenti con entusiasmo e passione. È a conti fatti, però, che si tirano le somme, in particolar modo quando si fa un bilancio tra risorse impegnate sul campo e risultati ottenuti. Rappresentativo e tristemente attuale è ciò che stiamo vivendo da oramai due anni a questa parte. La pandemia da Covid-19 ha modificato notevolmente il nostro vivere quotidiano, costringendoci a limitazioni e vincoli un po’ in tutti gli ambiti socio-relazionali.
Tale emergenza ci ha trovati impreparati e la scuola è stata in assoluto la prima istituzione sociale a subirne le conseguenze. Come prima risposta a questo evento improvviso e inaspettato, le istituzioni hanno fatto ricorso ad un paracadute che attutisse il colpo, ovvero quello “digitale”. In fondo, stiamo vivendo o no la quarta rivoluzione industriale …almeno sulla carta?!
COME HA RISPOSTO IL MONDO SCOLASTICO ALL’EMERGENZA?
Insegnanti, bambini e genitori hanno così fatto la conoscenza di un nuovo acronimo: la Dad (didattica a distanza). Gli alunni si sono ritrovati (molti per la prima volta) a gestire, spesso da soli, uno strumento a loro molto familiare come il PC, salvo poi scoprire di non averci mai avuto a che fare realmente. La stessa difficoltà è stata riscontrata da tutti quei genitori che, tra una pausa e l’altra dal lavoro, hanno cercato di essere da supporto ai propri figli.
Altri, invece, sprovvisti degli strumenti necessari, hanno dovuto destreggiarsi tra computer di amici o parenti. Non possiamo poi dimenticare le lotte di alcuni insegnanti che hanno fatto l’impossibile per dotare di un tablet quegli alunni che non avevano alcun modo di accedere alle lezioni a distanza.
Ritornando alla premessa fatta a inizio paragrafo, quale sarà il bilancio di due anni di didattica digitale? La Dad ha sicuramente toccato un nervo scoperto, lasciato per troppo tempo nell’incuria; ha segnato una marcata linea di spaccatura geografica, sociale ed economica del digital divide, ma anche sulle conoscenze dei nostri studenti nativi digitali.
Save The Children ha realizzato una prima indagine pilota sulla povertà educativa digitale, utilizzando un campione di 772 tredicenni in 11 città e province. L’esito dello studio ha rilevato l’impreparazione e la scarsa consapevolezza dei più giovani rispetto all’uso degli strumenti digitali.
Dati in mano, il 31% di questi crede che l’età minima per aprire un profilo social sia inferiore ai 13 anni ; il 30% non è in grado di rendere il proprio account privato e sicuro; poco meno del 60% non conosce le regole che garantiscono la privacy delle immagini pubblicate sui social e il 29,3% non sa scaricare un file. I dati più allarmanti sono due: quasi la metà dei giovani non sa distinguere una notizia fake da una vera; Il 51% di chi si collega quotidianamente alla rete internet sono bambini di 9 e 10 anni.
Alla luce di quanto emerso, è evidente che, oltre all’emergenza pandemica, ormai in fase di risoluzione, vi sia anche quella digitale. Quasi la totalità degli adolescenti usa internet e i social network senza possederne le competenze sociali e comunicative; condivide immagini ed informazioni personali in maniera poco adeguata e non sa come rapportarsi con quei contenuti che creano disagio e sofferenza.
Solo l’attenta presenza dell’adulto può fornire il supporto necessario a gestire le relazioni e i potenziali pericoli, al fine di costruire una consapevolezza digitale. I dispositivi elettronici non sono, infatti, dei giocattoli, ma degli strumenti pensati per gli adulti.
Un utilizzo morigerato, informato e adeguato all’età del soggetto che ne fa uso, sono gli ingredienti essenziali per trarre i tanti benefici e le innumerevoli potenzialità insite del mondo digitalizzato.