Sebbene siano ormai passati dodici anni dall’emanazione delle Indicazioni nazionali della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, la portata innovativa di questo strumento appare ancora oggi più che mai evidente e la “rivoluzione” che ha causato è ancora in atto tuttora nelle scuole di tutto il territorio nazionale.
Esse nascono con l’autonomia scolastica, sostituendosi ai Programmi Nazionali, e sono indirizzate a istituzioni scolastiche che hanno intanto acquisito un’autonomia progettuale, didattica e organizzativa. L’ottica viene così completamente ribaltata, passando dalla definizione di programmi prescrittivi calati dall’alto a Indicazioni Nazionali orientative, che consentono ad ogni scuola di elaborare il proprio curricolo, espressione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Ecco quindi che le Indicazioni Nazionali diventano un documento di riferimento per gli insegnanti che, ciascuno con il proprio ruolo attivo all’interno del collegio docenti, possono discutere, condividere e approvare un proprio curricolo d’istituto, poi inserito nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa che funge da carta d’identità di ogni scuola italiana.
Fin dalla lettura delle prime pagine delle Indicazioni Nazionali si evince come si parta da una visione “dal basso”, con il presupposto che ogni scuola sia inserita in una società in continua e rapida trasformazione, sociale e culturale, dovuta anche agli strumenti tecnologici e digitali. La realtà è quindi complessa e la scuola non è più l’unico depositario del sapere e l’unico contesto in cui i giovani discenti possano apprendere.
Al centro del processo di insegnamento/apprendimento non vi è più il docente ma bensì il discente, con la sua unicità e complessità. La scuola è quindi chiamata a realizzare percorsi formativi che rispondano alle reali inclinazioni di ogni singolo/a alunno/a, valorizzando così le peculiarità di ciascuno. L’alunno viene visto come attore del proprio apprendimento, con un ruolo attivo nella costruzione delle sue competenze. L’insegnante passa da depositario di sapere a mediatore nei processi di apprendimento, la conoscenza trasmissiva viene sostituita da una conoscenza consapevole e l’apprendimento diventa attivo e responsabile.
L’insegnante sposta l’attenzione dal “cosa si apprende” al “come si apprende”, divenendo un facilitatore dell’apprendimento e creando un patto formativo con ogni suo studente. Anche il setting didattico risulterà essere meno rigido e più flessibile, avendo come fine ultimo un apprendimento partecipato.
Ecco quindi che lo scopo della scuola e di ciascun insegnante diventa quello di sviluppare il pensiero critico, favorire l’autonomia di pensiero, rendere consapevoli delle proprie potenzialità e aspirazioni nell’ottica del successo scolastico di ogni studente, favorire la metacognizione ovvero l’imparare ad imparare; oltre alle abilità e alle conoscenze, la scuola deve sviluppare quindi le competenze.
Altresì la valutazione diventa valutazione soprattutto formativa in modo da offrire ai discenti la possibilità di comprendere i propri punti di forza e di debolezza, in una continua autovalutazione che mette in gioco grandi capacità di metacognizione.
Infine, ma non per importanza, viene dato particolare peso alla dimensione sociale della scuola, che deve essere un luogo accogliente, nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità. Lo “star bene a scuola” appare pertanto imprescindibile dal successo formativo del singolo alunno, poiché vi è apprendimento significativo solo quando in classe vi sia un clima positivo e collaborativo. Il gruppo classe deve essere inteso come gruppo di apprendimento in cui gli aspetti relazionali sono elementi fondamentali, poiché veicolano e stimolano gli apprendimenti. Il docente deve quindi incoraggiare l’apprendimento collaborativo, poiché l’apprendimento non è solamente individuale, ma soprattutto sociale. La qualità del contesto classe risulta, infatti, essere condizionata dalle caratteristiche individuali sia di studenti sia di insegnanti e dagli elementi peculiari della scuola. A questo scopo il valorizzare le diversità, facendo in modo che non diventino disuguaglianze ma fonte di ricchezza, deve essere il faro di ogni insegnante.
Il curricolo verticale
La nuova impostazione organizzativa legata all’autonomia scolastica e alle Indicazioni Nazionali ha fin da subito richiesto anche una nuova impostazione didattica, soprattutto nel primo ciclo di istruzione: in ogni Istituto Comprensivo, partendo dalle Indicazioni Nazionali, si arriva alla creazione del proprio curricolo verticale – dalla scuola dell’infanzia, passando per la scuola primaria, fino ad arrivare alla scuola secondaria di primo grado – espressione della libertà di insegnamento.
Creare una continuità formativa significa valorizzare la coerenza educativa tra le discipline e lungo tutto il percorso, sviluppando e organizzando ricerca e innovazione educativa in ogni ordine scolastico, senza cadere nell’errore dell’uniformità poiché ciascun ordine di scuola ha proprie peculiarità e necessità.
Creare un curricolo verticale significa per i docenti confrontarsi e collaborare, individuando le esperienze di apprendimento più efficaci, le scelte didattiche e le strategie, cercando di non frammentare eccessivamente le discipline, ma individuando progetti interdisciplinari che possano contribuire a promuovere abilità e competenze diverse.
La progettazione del curricolo è un’occasione preziosa per la scuola che diviene così comunità educante valorizzando le competenze dei diversi professionisti e creando reti tra scuola e territorio. Frutto della collaborazione e del confronto tra docenti, il curricolo verticale deve risultare come un percorso unitario con obiettivi graduali e progressivi. Il curricolo verticale verrà poi declinato dai docenti nella propria progettazione di classe. Quest’ultima dovrà quindi dettagliare gli obiettivi di apprendimento delle varie discipline e i relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze, così come indicato nel testo “Raccomandazione del Consiglio d’Europa” relativamente alle otto competenze chiave per l’apprendimento permanente aggiornata al 2018.
Il Quadro di Riferimento racchiuso nella Raccomandazione del Consiglio europeo del 22 maggio 2018 delinea otto tipi di competenze chiave. Tali competenze si sviluppano in una prospettiva di apprendimento permanente, dalla prima infanzia a tutta la vita adulta, mediante attraverso l’apprendimento formale, non formale e informale in tutti i contesti.
Le skill sono utili non solo sul piano dell’apprendimento nel contesto scolastico ma abbracciano una visione più ampia, facendo riferimento alla realizzazione e allo sviluppo personale, all’inclusione sociale, ad uno stile di vita sostenibile, alla cittadinanza attiva. Esse sono la Competenza alfabetica funzionale, La Competenza multilinguistica, la Competenza matematica, in scienze e in tecnologia e ingegneria, la Competenza digitale, la Competenza personale, sociale e la capacità di imparare a imparare, la Competenza in materia di cittadinanza, la Competenza imprenditoriale, la Competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.
Appare evidente che per l’acquisizione di queste competenze non sia più sufficiente il mero apprendimento scolastico. Da molti anni infatti si parla di Life long learning: presupposto fondamentale di ogni docente è guardare con occhi diversi il bambino/a ragazzo/a in una prospettiva futura, come cittadino del mondo, in una visione di formazione che possa durare per l’intero arco di vita, formazione di cittadini, cittadini dell’Europa e del mondo. La formazione continua diventa necessaria per rispondere in maniera adeguata ai continui mutamenti che si verificano a livello di istruzione e nell’ambito di una società che appare sempre più complessa e in rapida evoluzione: capacità di auto e meta riflessione, pensiero critico, problem solving, resilienza sono solo alcune delle abilità che sia docenti che nuove generazioni sono chiamati a fare propri.
Il Piano Nazionale Scuola Digitale
Se ne “Il Quadro di Riferimento” racchiuso nella Raccomandazione del Consiglio europeo del 22 maggio 2018 viene sottolineata l’importanza del ruolo del digitale nell’apprendimento e relativamente all’acquisizione di competenze, nel Piano Nazionale Scuola Digitale previsto con la legge 107 del 2015, l’educazione digitale diventa il punto centrale dell’innovazione del sistema scolastico negli ultimi anni.
Con questo Piano infatti viene previsto l’impiego di più fonti di risorse a favore dell’innovazione digitale, a partire dalle risorse dei Fondi Strutturali Europei (PON Istruzione 2014-2020).
Con il Piano Nazionale Scuola Digitale viene chiesto uno sforzo collettivo da parte di docenti, dirigenti scolastici e personale amministrativo per fondare le basi di un sistema formativo nell’era digitale: una scuola rinnovata, in cui le tecnologie diventino ordinarie ed entrino a far parte della prassi quotidiana in classe.
Nel Piano Nazionale Scuola Digitale viene sottolineato però che l’educazione nell’era digitale non deve porre al centro la tecnologia, ma “i nuovi modelli di interazione didattica che la utilizzano”.
Le buone pratiche alla base non cambiano: una scuola aperta e inclusiva e non più unicamente trasmissiva ma con il supporto e l’utilizzo quotidiano di strumenti digitali in ambienti di apprendimento flessibili, che favoriscano apprendimenti attivi e laboratoriali che coniughino il sapere e il saper fare, sviluppando così non solo conoscenze e abilità, ma competenze. Continuare a lavorare per competenze intese come progettazione che mette al centro trasversalità, condivisione e co-creazione, e come azione didattica caratterizzata da esplorazione, esperienza, riflessione, autovalutazione, monitoraggio e valutazione, resta la mission della scuola. Il primo passo è quindi cogliere le opportunità offerte dalle tecnologie digitali e coniugarle ad una didattica per problemi e per progetti. In questo quadro, le tecnologie digitali supportano le competenze metacognitive, cognitive e relazionali, ovvero le dimensioni relative alle competenze trasversali.
Uno dei pilastri centrali del PNSD è quindi l’innovazione degli ambienti di apprendimento, prevedendo: aule aumentate dalla tecnologia, ovvero aule “tradizionali” arricchite di dotazioni per la fruizione individuale e collettiva del web e di contenuti; spazi alternativi per l’apprendimento, con arredi e tecnologie per la fruizione individuale e collettiva che permettono una certa flessibilità e una rimodulazione continua degli spazi in relazione all’attività didattica prescelta; laboratori mobili, ovvero dispositivi e strumenti mobili in carrelli mobili a disposizione di tutta la scuola (per esperienze laboratoriali nelle diverse discipline, digitali e non), in grado di trasformare un’aula tradizionale in uno spazio flessibile e multimediale.
Altra grande novità contenuta nel PNSD è la promozione al cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device), ossia l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche.
Naturalmente gli studenti vanno accompagnati in un percorso di consapevolezza e responsabilizzazione nell’utilizzo del “digitale”; essi sono sì immersi in una società tecnologicamente ricca e pervasa da media e tecnologie digitali, ma non possono essere accompagnati nello sviluppo delle competenze che servono per un loro utilizzo critico e consapevole, competenze logiche e computazionali, competenze tecnologiche e operative, competenze argomentative, semantiche e interpretative.
Anche l’OCSE infatti raccomanda che i ragazzi non siano lasciati soli in questo percorso, trasformandosi consapevolmente in “consumatori critici” e “produttori” di contenuti e architetture digitali.
Il Piano Triennale dell’offerta formativa rappresenta quindi lo strumento cardine per mettere a sistema principi, gli strumenti e le finalità previsti nel PNSD. L’inserimento nel PTOF delle azioni coerenti con il PNSD servirà a migliorare e mettere in chiave programmatica la scelta delle strategie legate all’innovazione digitale delle istituzioni scolastiche.
La grande sfida delle Istituzioni scolastiche pertanto è quella di coniugare il digitale con la didattica, facendo in modo di allargare le possibilità che il digitale offre, senza sostituirsi alla didattica, in un’ottica inclusiva e di personalizzazione.