La classe docente italiana è la più anziana d’Europa e, al tempo stesso, ha una retribuzione fra le più basse considerando la media UE. Si tratta di dati conosciuti ormai da tempo, e che il rapporto Education at a Glance 2024 ha confermato, ma non rappresentano le uniche sfide di un mestiere sempre più complesso.
Fra gli insegnanti italiani è infatti sempre più alto il rischio di burnout, ossia il forte stress e la crescente fatica legata al lavoro. Eppure, nonostante le petizioni e le richieste, sembra che non sia facile trovare una soluzione che vada bene a tutti.
rischio esaurimento emotivo
Come segnalato dal rapporto Education at a Glance 2024, in Italia più di un docente su due ha più di 50 anni, contro una media europea del 38%. Allo stesso tempo, il 18% degli insegnanti ha più di 60 anni mentre soltanto il 10% ha meno di 30 anni.
Già da diverso tempo si parla del mestiere di insegnante come di un lavoro usurante già a partire dalla scuola primaria. Eppure, sono in molti a menzionare i tre mesi di vacanza all’anno o le 18 ore di lavoro settimanali, che spesso finiscono per raddoppiare. Per non parlare degli stipendi che, proprio secondo il rapporto, sono fra i più bassi in Europa.
Insomma, quella degli insegnanti è una classe lavorativa a rischio burnout, tanto che sempre più spesso si parla di un pensionamento a 60 anni. Lo stress è dovuto all’età, certo, ma anche ai carichi di lavoro eccessivi, alle incombenze burocratiche, al cambio generazionale. E non si tratta neanche di problemi recenti.
Nuove soluzioni a vecchi problemi
Se la crescente anzianità della classe docente si lega al rischio di burnout lavorativo, esiste anche un altro collegamento altrettanto rilevante con la questione del divario generazionale. Non è per nulla un problema nuovo: già nel gennaio 2015 una docente inviava al Corriere della Sera una lettera aperta che sembra essere stata scritta oggi. Eccone un passaggio dedicato agli insegnanti che faticano a gestire una classe:
Hanno svolto il loro lavoro con impegno, dedizione ed onore per tanti anni, ma si trovano ad operare con classi molto vivaci dove il rispetto, la buona educazione e l’ubbidienza sono latitanti. Si sentono soli perché i genitori difendono a priori i figli, non ammettono che possano avere dei problemi, o che ci siano lacune educative in ambito familiare. La colpa è sempre della maestra, cosa difficile da accettare dopo una lunga carriera.
A 60 anni un insegnante non ha più le stesse forze che aveva a trenta, conclude la docente, soprattutto se deve dedicare le sue energie a contenere una classe, e a poco altro. Davvero ha senso tenere in servizio chi ha già dedicato all’educazione decenni della propria vita, oppure è necessario trovare soluzioni nuove?
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Un anno sabbatico
Come riportato dal quotidiano La Stampa , moltissimi docenti sono ben consapevoli di questi problemi. E se alcuni ne fanno una questione di età e divario generazionale – nel paragrafo precedente abbiamo visto alcune delle loro istanze – per altri si tratta più di qualità del proprio lavoro.
A sostenere questa idea è una docente di sostegno che lancia una proposta interessante: un anno sabbatico ogni cinque anni di servizio per ricaricare le energie e tornare a insegnare con maggiore motivazione. Queste le sue parole:
Se, ad esempio, gli insegnanti avessero la possibilità ogni 5 anni di fare un anno di ricerca o di staff tornerebbero in aula molto più carichi. La scuola ora è un’azienda, deve lavorare sull’orientamento, sulla dispersione, su diversi progetti che integrano l’offerta formativa. E se si desse la possibilità a turno, su base volontaria, di farlo a tempo pieno e di fermarsi con l’insegnamento?
Insomma, un anno sabbatico dedicato alla ricerca o al supporto scolastico potrebbe contribuire a ridurre il rischio di burnout, e non solo. Avere in classe un insegnante motivato è una ricchezza per gli studenti, certo, ma anche per tutto il sistema di istruzione. Che sia la strada giusta da seguire?