Continua il dibattito sull’uso dello smartphone a scuola, una tendenza diffusa ormai da diversi anni ma ultimamente oggetto di norme e divieti da parte delle istituzioni.
Da un lato, infatti, sono molte le voci da parte della società civile che mettono in guardia contro il ricorso alla tecnologia in classe, una fra tutti quella di Umberto Galimberti. Dall’altro, invece, c’è un nuovo studio scientifico che sembra ribaltare la situazione: vietare l’uso dello smartphone a scuola non sembra migliorare, di per sé, il benessere mentale degli studenti.
Vediamo in che senso.
Vietare lo smartphone NON MIGLIORA LA SITUAZIONE
Come dicevamo nell’introduzione, a sostenerlo è uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet – Regional Health – Europe . I ricercatori hanno confrontato istituti con politiche restrittive in materia di dispositivi elettronici e istituti che invece ne permettono l’uso, anche a scopo ricreativo.
Con un campione di oltre 1200 studenti britannici con età compresa fra 12 e 15 anni e provenienti da 30 scuole secondarie, i risultati si sono dimostrati sorprendenti, da un certo punto di vista. Infatti, la ricerca conferma come non ci sia alcuna differenza significativa per quanto riguarda ansia, depressione e rendimento scolastico. Secondo l’indagine:
- non ci sono differenze nei voti in matematica e inglese fra studenti con e senza restrizioni;
- non c’è alcun miglioramento nella qualità del sonno, nell’attività fisica e nel comportamento in classe;
- sono assenti differenze nei livelli di ansia e depressione fra i due gruppi di studenti.
In pratica, stando ai ricercatori, vietare lo smartphone a scuola non garantisce di per sé un miglioramento nel benessere mentale degli studenti. Al contrario, si tratta di un risultato che capovolge alcune delle narrazioni sulla presenza della tecnologia in classe.
Ma basta questo per risolvere il problema?
Misura inefficace o situazione complessa?
Lo studio dei ricercatori britannici non afferma che vietare lo smartphone a scuola sia una misura inefficace, ma ha l’obiettivo di mostrare quanto la situazione sia complessa dappertutto, anche in Italia.
Nel nostro Paese, al netto delle linee guida di Valditara, sono tantissime le scuole che hanno deciso di vietare l’uso dello smartphone in modi più o meno rigidi. A Livorno, per esempio, gli studenti di una scuola devono depositare il telefono in un apposito contenitore durante le lezioni. In una scuola di Torino, invece, gli studenti neanche si alzavano dai banchi per la ricreazione, e pertanto l’istituto ha dovuto vietare tout court il telefono.
Oltre agli abusi da parte dei ragazzi, queste misure sono giustificate dall’idea che lo smartphone sia un pervasivo elemento di distrazione. Vietarlo dovrebbe portare quindi un aumento della concentrazione e in generale un miglioramento del proprio benessere mentale.
Come abbiamo visto, la situazione è tuttavia più complessa.
Un conto è infatti l’uso dello smartphone, anche a scuola, un conto è l’abuso di questo strumento. Effetti negativi come una maggiore sedentarietà o un aumento del rischio di ansia non vengono derubricati: sono ugualmente presenti in caso di utilizzo eccessivo. E sono gli stessi ricercatori a confermarlo.
Qual è la soluzione?
Di fronte a una situazione complessa, spesso la soluzione richiede un punto di vista consapevole. Detto in altri termini: se il mero divieto non basta, è necessario pensare ad iniziative diverse che sappiano rendere più equilibrato il rapporto fra gli studenti e lo smartphone. Secondo una delle autrici della ricerca , Victoria Goodyear, il punto è proprio questo:
Quello che stiamo suggerendo è che quei divieti isolati non sono sufficienti per affrontare l’impatto negativo. Dobbiamo fare di più che vietare i telefoni nelle scuole.
Il problema non è quindi il divieto in sé, ma l’assenza di strategie più ampie in grado di coinvolgere famiglie, insegnanti e istituzioni, così da promuovere un uso più consapevole della tecnologia. Da questo punto di vista, la scuola svolge un ruolo privilegiato e ha, allo stesso tempo, una grande responsabilità: mostrare ai giovani che un altro modo di vivere il loro rapporto con lo smartphone non è solo possibile, ma auspicabile.