Sempre più frequentemente viene richiesta una certificazione della conoscenza della lingua inglese per qualsiasi concorso o posizione professionale. Anche in contesti come i conservatori o le università, persino se si intraprende un percorso di studi o una specializzazione che poco hanno a che fare con questa lingua, tra gli esami ne esiste uno obbligatorio d’inglese.
Certamente è una prevedibile conseguenza della globalizzazione: obiettivi e indicazioni ministeriali cambiano e si evolvono in relazione al cambiare o all’evolversi della società. Cambiano i “programmi scolastici” – anche se sappiamo bene essere stati sostituiti dalle Indicazioni Ministeriali – perché, a un certo punto, ha iniziato a cambiare la lingua con cui parliamo.
“L’INVADENZA” DELLA LINGUA INGLESE
Fu forse con stepchild adoption che la riflessione iniziò a farsi più intensa e vivace: è difficilissima da pronunciare e poteva benissimo essere sostituita. L’inglese ha preso il sopravvento? Di sicuro con l’avvento di lockdown, smart working, green pass e molte altre parole che pian piano sono entrate a gamba tesa nel lessico comune italiano, ci si chiede se sia la lingua anglosassone a praticare un’egemonia sulla nostra o se siamo noi italiani, pigri, ad accettare questi termini senza nemmeno provare a coniarne di nostri, con lo stesso significato.
La posizione di Francesco Sabatini
Francesco Sabatini è stato professore universitario di letteratura italiana e filologia romanza (lo studio dell’origine delle lingue romanze, le lingue originate dal latino) ed ex presidente dell’Accademia della Crusca. Amante e, come qualcuno l’ha definito, “difensore della lingua italiana“, ha espresso il suo pensiero riguardo l’argomento. Secondo Sabatini l’inglese è diventato ormai obbligo, ma a discapito della lingua italiana. Il primo esempio per avvalorare questa sua tesi è il fatto che l’inglese sia divenuto necessario anche nelle questioni di diritto: se gli aspiranti avvocati studiano le leggi italiane, come è possibile che l’inglese abbia messo le radici pure in questa facoltà? E non solo, l’inglese ha raggiunto un dominio anche nelle discipline scientifiche.
Secondo il professore, ciò è stato permesso a causa del “provincialismo” degli italiani. L’esterofilia che ci contraddistingue ha permesso che l’inglese entrasse così tanto nella lingua italiana e in ambiti così peculiari come le scienze e il diritto. Ed è incredibile se si pensa che proprio le discipline scientifiche (biologia, medicina…) e il diritto, non solo in Italia ma anche negli altri paesi europei, hanno il 90% dei termini di origine latina e greca e senza la conoscenza di queste lingue non è effettivamente possibile comprendere la lingua moderna.
La cosiddetta invasione dell’inglese non è l’unico problema della lingua italiana e della cultura in generale. Una delle domande poste a Sabatini riguarda, infatti, il paradosso per cui in Italia, nonostante la grande presenza di laureati in discipline umanistiche, si legga pochissimo. Francesco Sabatini sostiene che leggere poco, scrivere poco e avere un lessico ridotto dipende, ovviamente, dall’istruzione e sarebbe necessario iniziare a educare a queste competenze già a partire dalla scuola primaria.
Lo stesso gesto dello scrivere è da rieducare, dal momento che si è perso grazie alla didattica a distanza e all’uso degli smartphone. L’attenzione che richiedono i social network è infatti diversa dalla concentrazione che è tipica di una buona scrittura: immediatezza contro pazienza, velocità contro riflessione, video veloci di pochi secondi contro libri, sempre più in pericolo.
IL FUTURO DELLA CONOSCENZA
Le riflessioni e i dubbi posti da Francesco Sabatini sono i quesiti di ogni lavoratore della conoscenza, che è costretto a svecchiare i propri metodi con una velocità maggiore a quella del passato. La stessa divulgazione scientifica sta iniziando a diffondersi attraverso canali come Instagram e TikTok: medici e professionisti spiegano concetti in pochi secondi, in video brevissimi, spesso corredati da musica e gesti. Ma come si può relegare a ciò la conoscenza? La conoscenza richiede pazienza, non può essere ridotta a video di pochi secondi perché questa è la tendenza della società, e se ciò rappresenta il futuro della comunicazione dobbiamo farci qualche domanda.
Sì, sono completamente d’accordo con il professore Sabatini: dobbiamo difendere la lingua italiana. Troppi italiani non la studiano e non la parlano bene. Basta leggere le frasi su Facebook per rendersi conto di quanta poca conoscenza della grammatica ci sia. Ma anche molti giornalisti improvvisati fanno tanti errori che dimostrano una scarsa cultura della lingua.
Continuerò a seguire le evoluzioni.
Buon lavoro e cordialitá,
Anna Maria Fiermonte