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EDUCAZIONE

Il ceffone dato per educare è un falso mito da sfatare. La vera educazione è sostituire lo schiaffo con la parola

I bambini sono noti per la loro energia e la voglia di giocare, una tendenza che può sfociare in capricci, disobbedienza e mancanza di rispetto per le regole. Al loro comportamento può anche aggiungersi la fatica accumulata dai genitori durante il giorno, che rischia di portare a reazioni esagerate da entrambe le parti.

All’improvviso, insomma, un genitore può ricorrere al cosiddetto “schiaffo educativo”. Ma siamo sicuri che sia una buona idea? Ne parla lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, intervenuto ai microfoni di Radio Linea link esterno.

Lo schiaffo educativo

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Riprendiamo l’esempio dell’introduzione. Dopo aver esagerato nel suo comportamento, il bambino riceve il cosiddetto schiaffo educativo dal genitore, e magari si calma anche. Eppure, la tranquillità apparente non denota il successo di questo metodo punitivo, se non l’opposto.

Lo schiaffo educativo, in altre parole, non esiste se non nelle narrazioni dei genitori che non sanno educare i loro figli. Lo ricorda bene lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, che delinea un quadro allarmante:

Il 22% dei genitori italiani utilizza lo schiaffo come metodo educativo nella fascia d’età 3-5 anni, percentuale che sale fino al 30% durante l’adolescenza. I bambini che subiscono punizioni corporali sviluppano l’idea che i conflitti si risolvano con la violenza, e ciò li predispone a non saper gestire le frustrazioni in futuro.

Come prevedibile, lo schiaffo educativo sortisce l’effetto opposto nel lungo periodo, risultando quindi dannoso per i bambini, e non solo. L’educazione non può basarsi sulla paura, ma sul ruolo dei genitori e sulla responsabilità del formare individui consapevoli. Sì, ma come? Esistono alternative?

Soluzioni alternative

Un conto è dire che un metodo non funziona, e spiegare perché, un conto è trovare delle soluzioni efficaci. Se ancora un genitore su cinque utilizza lo schiaffo educativo su un bambino e un genitore su tre lo usa su un adolescente, è necessario suggerire degli approcci alternativi. Continua Lavenia:

La parola deve sostituire la mano. Molti genitori non parlano più con i propri figli per mancanza di tempo, ma è fondamentale ricostruire questi spazi di confronto.

Un buon punto di partenza consiste quindi nella creazione di limiti precisi, spiegandone le motivazioni. Se le regole vengono infrante, allora è possibile ricorrere a rimproveri o punizioni, come la privazione temporanea di un privilegio. Da questo punto di vista, è fondamentale chiarire sempre qual è la ragione di una specifica punizione, e non esagerare. Anche il rimprovero, insomma, deve essere costruttivo e non squalificante.

l’importanza dell’esempio

Ovviamente, lo schiaffo educativo può sembrare la soluzione più semplice rispetto al dialogo costante e consapevole con il bambino. Allo stesso tempo, chiarire bene le regole e rispettare la persona appare come una strada più complessa, aspetto che riporta la questione al ruolo giocato dagli adulti.

I figli tendono a imitare i genitori, ragione per cui l’esempio può diventare uno strumento importantissimo o una debolezza imperdonabile, a seconda dei casi. Queste le parole di Giuseppe Lavenia:

Predichiamo il distacco dagli smartphone ma siamo i primi a non rispettare questa regola. Servono buone prassi condivise: colazione senza telefono, orari definiti per lo spegnimento serale e magari una giornata “detox” nel weekend per riscoprire il valore della comunicazione diretta.

Educare non è semplice, lo sappiamo, ma la violenza non è mai la risposta. Al contrario, serve un approccio consapevole che sia basato sul dialogo, sulla pazienza e sull’esempio. Ogni gesto di un genitore, ogni sua parola e ogni sua reazione contribuiscono a formare il futuro dei figli. Ha davvero senso essere identificati con uno “schiaffo”, per quanto lo si continui a definire “educativo”?

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