Gli atti educativi ovunque si realizzano, nei contesti formali (le istituzioni scolastiche), non formali (le altre agenzie formative come la famiglia, le associazioni, i gruppi sportivi, le parrocchie, i partiti politici) che informali (il web con i social e altre forme di apprendimento informali) determinano elementi di trasformazione negli individui e questo avviene con maggiore evidenza se sono in grado di sollecitare una risposta non contraddittoria, coerente o quanto meno incentrata su una serie di valori negoziati e accettati tra le parti.
Quello a cui assistiamo da un anno invece, è una sostanziale sovrapposizione dell’ambito formale con quello informale a tal punto da creare un senso di oggettivo smarrimento e disorientamento tra gli alunni, le loro famiglie e i docenti. È a tutti del tutto evidente un assottigliamento del rapporto tra spazi delle istituzioni scolastiche, spazi domestici e spazi virtuali.
La prospettiva della Didattica a Distanza, dunque, ha finito per fondersi e confondersi con un’idea generale e univoca degli spazi della formazione, non a caso nell’interpretazione operativa che si è data della DaD da parte della scuola si è fatta sostanzialmente una trasposizione sul digitale della scuola in presenza, con i suoi tempi, i suoi spazi, le sue dinamiche sociali e relazionali. Questo ha determinato una forma di irruzione nella quotidianità delle famiglie, senza ripensare alla sostanziale diversità della didattica a distanza che ha tempi diversi, forme alternative di lezione, strumenti tecnologici e programmi alternativi e soprattutto andava pensata garantendo il rispetto degli spazi vitali esterni alla scuola.
In questo spostamento della scuola a casa non si è considerato il medium, il mezzo, gli strumenti digitali come sostanziali e significativi nella realizzazione della didattica a distanza ma anche come spazi entro cui prima della pandemia si realizzavano anche processi di svago. Abbiamo così prodotto una DaD che è diventata scuola in presenza fatta al computer; abbiamo espropriato i ragazzi dei luoghi immateriali del web e dell’intrattenimento a cui erano abituati e abbiamo costretto implicitamente le famiglie ad una dittatura della scuola in casa.
Quello che invece avremmo dovuto immediatamente cercare di costruire era un “Patto Educativo di Corresponsabilità” (DPR 235/2007) in cui si ripensava ai tempi della DaD, in modo che si riorganizzassero i metodi e i modi specifici propri della didattica a distanza, che si organizzasse un dialogo diretto e costante con le famiglie per rispettarne l’intimità della dimensione domestica chiedendo loro di offrire supporto senza farli diventare parte estesa della scuola.
Ora dovremmo pensare ad una piattaforma unica nazionale entro cui sviluppare i tempi scuola in ottica formativa, guardando ai processi di crescita, alle trasformazioni educative e non impostare la presenza online in senso cronologico. Dovremmo stilare un piano operativo nazionale per la formazione dei docenti con indicazioni precise e coinvolgere i genitori in un processo organizzativo dal basso senza entrare nella triste antinomia pro DaD contro DaD.
Resta ancora aperta la possibilità di rigenerare processi virtuosi che tengano insieme formale, non formale e informale anche se a distanza. Per fare ciò dovremmo pensare ad una grande conferenza organizzativa della scuola, quasi come quella di Woods Hole messa su nel 1959 a Cape Cod (Massachusetts, USA) da un giovane J. S. Bruner per rispondere alla supremazia tecnologico-scientifica dello Sputnik 1 Russo. Oggi un vaccino prende il suo nome, noi speriamo che ci siano le premesse per una nuova e straordinaria transizione della scuola verso una digitalizzazione dal volto umano.
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