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GESTIONE DELLA CLASSE

Il registro elettronico, un amore tossico tra figli, docenti e genitori

È stato definito “una follia” da studiosi come Morelli, perché non permette più di marinare la scuola. Crepet ci va più pesante, prendendo in giro i genitori di oggi. “Entrate a scuola, distruggetela, prendete in ostaggio i prof”, scrive. Galeotto fu il registro elettronico e chi lo inventò, dando vita per molti intellettuali a un rapporto di amore tossico tra figli, docenti e genitori.

Il software è stato introdotto nel 2012 dal Governo Monti. Serve per inviare qualsiasi tipo di comunicazione alle famiglie e agli studenti (pagelle, presenze, comunicazioni e voti). Ideato inizialmente per digitalizzare le procedure scolastiche, alla fine per molti ha dematerializzato soltanto il rapporto tra studenti e professori, e tra questi ultimi e i genitori. Insomma, se prima la scuola si guardava bene dall’essere l’estensione dell’ambiente familiare, ora sembrerebbe che questi limiti non esistano più. Non accade solo in Italia, intendiamoci: lo strumento ormai è stato adottato in diverse parti del mondo.

Dal 2012, comunque, il nuovo registro è stato confermato da tutti i governi, che ne hanno sottolineato l’importanza. Nel 2020 per esempio, a inizio pandemia da Covid, il Garante della Privacy aveva suggerito all’allora ministra dell’Istruzione Azzolina di potenziare questo software, per rinforzare il rapporto tra scuola e famiglie.

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Se negli anni il Ministero dell’Istruzione ha pensato molto all’aspetto pratico, è dalle scuole invece che è partita una riflessione etica: al Barsanti di Firenze per un periodo è stato abolito, con tanto di proteste di alunni e genitori. È successo qualcosa di simile nei Paesi Bassi, dove il Jordan-Montessori Lyceum di Utrecht ha deciso di escludere i genitori dall’app di condivisione dei voti per dieci settimane, una misura volta a ridurre la pressione sugli studenti.

Per approfondire le preoccupazioni legate all’uso del registro elettronico, abbiamo intervistato Lorenzo Morri, docente del Liceo Da Vinci nel bolognese, autore di un articolo su Repubblica in cui denuncia i rischi dell’interconnessione, e il presidente del Moige, che ha espresso il punto di vista delle famiglie su questo strumento.

“Il problema riguarda la scuola, che ha collaborato con pochissima visione critica nell’adottare strumenti di iperconnessione”, dice Morri. Contrariamente a quel che si possa pensare, il registro elettronico non rappresenta un problema per gli studenti. Tutt’altro, per molti è utile e normale, a tal punto che sarebbe problematica la sua assenza.

Ma come? Sarebbe assurdo per uno studente di 30 anni fa. Ebbene sì, gli studenti non si stupiscono più da anni del fatto che i genitori conoscano il loro andamento e rendimento scolastico. “Sono così abituati a essere sotto lo sguardo dei genitori, che non fanno esperienze effettive di allontanamento dal loro sguardo, non sbagliano”, ammette Morri.

Nell’articolo scritto link esterno per Repubblica Bologna insieme ad altri due colleghi, Morri apre una riflessione sui rischi legati all’iperconnessione. Così gli alunni, sempre meno indipendenti, non si preoccupano più se il genitore sia a conoscenza della propria assenza a scuola. Una cosa che prima del 2012 avrebbe fatto vivere con l’ansia qualsiasi studente: generazioni di esperti in creazione di scuse e falsificazione di firme dei propri genitori. “È difficile da capire, ma sono abituati al fatto che i genitori sappiano dove sono”.

Più che il controllo, è vissuto con fastidio e invasivo l’atteggiamento di alcuni docenti, che utilizzano il registro elettronico oltre ogni cornice temporale. Famiglie la cui giornata viene stravolta da un compito in più inserito alle 5 del pomeriggio, notifiche che cambiano programmi di vita quotidiana. “Gli studenti lo percepiscono come ingiusto, ma sono anche rassegnati”, dice Morri.

Tutto ciò la dice già lunga su come è cambiata la scuola negli ultimi anni, ma il docente del liceo Da Vinci rincara la dose: “Prima del registro elettronico nessuno studente si sarebbe sognato di fare dei compiti perché il professore gli telefonava a casa, o inviava un messaggio in chat”. Ma questo software è un documento ufficiale, perciò diventa vincolante, anche se non c’è modo di verificare quando un compito viene inserito.

E i genitori sono più legati al registro dei figli: controllano quali compiti ci sono, forzano il processo educativo degli studenti e diventano co-responsabili del loro andamento scolastico. “Il mondo in cui il ragazzo è di fronte alle sue responsabilità da solo non esiste più: i genitori da tempo seguono i loro figli fin dalla quinta elementare”, dice Morri, che spiega come, pensando di rendere il tutto più agevole, questo software sia stato tradotto in un’app. E come tutte le applicazioni ti cerca, ti alimenta con feed, ti invia notifiche. Lo fa anche quando gli studenti sono in classe, diventando un elemento di distrazione. “Se loro sono in aula con me e a un professore viene in mente di inserire un documento didattico tra i materiali, o di assegnare un compito, gli arriva una notifica”. Questa iperconnessione è alimentata dalla natura dell’app stessa, e diventa un elemento di distrazione da gestire per il docente che è in aula.

La sensazione per Morri è che la scuola stia contribuendo alla polverizzazione dello spazio e del tempo, attraverso questi strumenti. Oltre alle problematiche citate, la media presente sul registro elettronico è diseducativa, e i voti vengono assegnati giorni dopo senza la possibilità di discuterne. Ciò produce un’ansia tossica che porta i ragazzi a controllare sistematicamente se è uscito il voto di una materia o meno.

Anche per Antonio Affinita, direttore generale del Moige, il ruolo degli studenti nel loro percorso scolastico è cambiato, con effetti sia positivi che negativi. L’autonomia e la responsabilità dei ragazzi è stata ridotta dalla natura del registro elettronico, che fa venire meno la loro capacità di assumersi responsabilità e affrontare direttamente i genitori per discutere dei propri risultati scolastici. È venuta a mancare una capacità molto più importante delle materie stesse: l’autonomia.

“È la trasparenza totale che è un messaggio sbagliato”, perché rischia di generare ansia e stress legati alla condivisione totale delle informazioni “soprattutto per gli adolescenti che vivono questa supervisione come una forma di controllo invasivo”, spiega Affinita. Per questo il Moige propone di ridurre l’accesso alle informazioni, limitandolo a “finestre temporali specifiche”: prima dei colloqui, per esempio. C’è bisogno di tornare al dialogo familiare e “di introdurre programmi formativi per genitori e studenti sull’uso equilibrato di questo strumento”.

“Il registro elettronico rappresenta un’opportunità importante per migliorare la comunicazione tra scuola e famiglia”, dice Affinita, che conclude con un avvertimento: “Un approccio condiviso tra famiglie, docenti e istituzioni scolastiche è essenziale per trasformarlo in uno strumento realmente educativo”.

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