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OPINIONI

Insegnanti pubblici ufficiali, o lo sono o non lo sono

Benché questa consapevolezza o intenzione non sia mai stata realmente propria dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado, diventa ora una questione di principio. “Si tratta di un passaggio molto importante. Non si tratta così di una professoressa, per nessun motivo”, dice l’insegnante di Lodi, che si è recentemente vista negare questo riconoscimento da un giudice.

Lo scorso 17 gennaio si è tenuta la prima udienza del processo, ma l’imputata, madre di una studentessa diciassettenne che aveva subito la contestata sospensione di quindici giorni per atti di bullismo, è stata accusata solamente di “lesioni aggravate a incaricato di pubblici servizi” e non a “pubblico ufficiale”.

Il 21 maggio tornerà quindi di nuovo in tribunale la professoressa che nel 2019 venne schiaffeggiata a causa di un provvedimento disciplinare che, in ogni caso, è stabilito dal consiglio di classe, non da una singola persona.

La vicenda, a suo tempo, aveva suscitato indignazione, tanto che l’allora Ministro dell’Istruzione Bussetti aveva voluto incontrare la docente di persona: “Sono venuto a ringraziare questa insegnante anche per il suo comportamento, per l’autocontrollo che ha saputo tenere in quei momenti. L’insegnante è stata bravissima, ha pensato comunque ancora prima alla ragazza sospesa che a se stessa”. Persino aveva proposto di premiare con una medaglia Vittoria Bellini, per la sua compostezza e professionalità.

Teatro dell’ultimo caso analogo, il ventiquattro gennaio scorso, la scuola Don Bosco, istituto comprensivo di Torre del Greco. Una maestra costretta a ricorrere alle cure mediche per l’aggressione di una madre, una collega preoccupata perché si sente minacciata, l’inevitabile denuncia alle forze dell’ordine e l’annunciato ricorso alle vie legali.

Casi che ricordano quelli della professoressa aggredita a Castellammare di Stabia e del preside preso a pugni a Cesena, nel 2023. Il susseguirsi di aggressioni nei confronti del personale del mondo della scuola diventa quasi scontato. Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara aveva annunciato che avrebbe valutato i presupposti per proporre una costituzione di parte civile, eventualmente considerando anche un danno d’immagine all’Amministrazione. “Docenti e presidi non saranno lasciati soli: dobbiamo tutti insieme ricostruire un patto educativo che unisca genitori, studenti e docenti”.

Occorre valutare quanto costi sostenere una causa: quanto costi ai diretti interessati, soprattutto. In termini di denaro, tempo, fatica, stress. E delusioni. Perché finora, si presupponeva, che gli insegnanti lo fossero. Pubblici ufficiali, si intende.

E si sa, tutto si ottiene in ambito educativo con un lavoro sinergico: se ognuno fa la sua piccola o grande parte. I docenti, i bidelli, i dirigenti, i genitori, i nonni, gli studenti, le società sportive, i Grest estivi, tutti.

I tribunali dovrebbero essere veramente l’ultima ratio: ma, se necessario, si può ricordare la sentenza della Corte di Cassazione, n. 15367/2014, che ha ribadito la qualifica di pubblico ufficiale per gli insegnanti, estendendo tale riconoscimento a tutte le attività che essi svolgono in ambito scolastico.

Come ben sa un genitore di Parma: offendere, insultare o denigrare con parole pesanti un docente può costituire oltraggio a pubblico ufficiale e può costare la condanna a quattro anni di reclusione.

A due mesi fa risale l’ammonimento a cinque diciassettenni che frequentano una scuola superiore di Lodi che avevano preso di mira una loro compagna di classe chiamandola “cicciona”, ma anche una ragazza dal carattere timido e riservato e un docente. Insulti continui a scuola e su WhatsApp con l’intento evidente di isolare le vittime, arrivando a rendere loro impossibile qualsiasi forma di normale relazione sociale.

Sono questioni di principio, appunto. La professoressa Vittoria non ha ricevuto alcuna medaglia, come era stato promesso. Ma va avanti lo stesso.

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