Come ogni abilità e competenza, anche l’uso della lingua italiana va esercitato in modo continuo e anche nella scrittura, per evitare di perderlo. A sostenerlo in un’intervista è il presidente onorario dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, secondo cui alcune tendenze contemporanee minacciano l’uso corretto della nostra lingua. Fra queste, le più gravi sono la scomparsa della scrittura a mano, la disabitudine a scrivere in corsivo e un generalizzato arretramento culturale. Vediamo perché.
Si parla spesso di come i giovani non siano più abituati a scrivere in corsivo e preferiscano scrivere a stampatello. Si parla meno, invece, di come la stessa scrittura a mano sia a rischio. Lo ricorda, nell’intervista di Adnkronos , il presidente onorario dell’Accademia della Crusca. Secondo Claudio Marazzini, l’idea stessa di abolire direttamente o indirettamente la scrittura a mano indica una mancanza di qualsiasi criterio pratico ed educativo. E continua: “Non basta muovere le dita veloci su di una tastiera, non basta dettare un messaggio vocale o trascritto automaticamente da una macchina. Guai a chi vuole trasformare il nativo digitale in un analfabeta sostanziale“
Il principale indiziato per la scomparsa della scrittura a mano, pertanto, è il grande ricorso alle tecnologie digitali che abbiamo visto negli ultimi anni. Nel tentativo di rimettersi in pari, tuttavia, la scuola rischia di ottenere l’effetto contrario: piuttosto che usare la tecnologia in classe insieme all’apprendimento tradizionale, si preferisce la prima a discapito del secondo.
Il corsivo è fondamentale
Oltre alla scomparsa della scrittura a mano, Claudio Marazzini parla anche di come l’uso del corsivo sia fondamentale per il corretto uso dell’italiano. Nonostante ciò, si tratta di una pratica che sta scomparendo, per due ragioni. Da una parte, come abbiamo visto, si diffonde l’uso delle tastiere e quindi si riduce l’uso delle mani per scrivere. Dall’altra parte, i giovani e i meno giovani preferiscono sempre di più una scrittura a stampatello, molto più semplice ma anche più arida.
Da questo punto di vista, il presidente onorario della Crusca è soltanto l’ultima personalità ad interessarsi della questione. Come ricorda anche l’accademico Paolo Sarti, chi è abituato a forme semplicistiche di scrittura riduce anche la ricchezza della propria produzione linguistica. Da questo punto di vista, responsabili sono quindi la scrittura digitale e quella a stampatello, ciascuna con le proprie mancanze e i propri limiti.
La scomparsa dell’italiano
La scomparsa del corsivo e della scrittura a mano hanno allarmato diverse personalità del mondo culturale e accademico. Già nella Giornata internazionale della lingua madre, la linguista Valeria Della Valle ha sostenuto come l’italiano goda di buona salute, ma gli italiani non lo conoscono.
A rendere più complesso il quadro generale, si aggiunge anche la decisione dell’Università di Bologna di eliminare il corso di laurea in Scienze del Turismo, ma mantenere la sua versione in inglese. Per questa ragione, il presidente dell’Accademia della Crusca Paolo d’Achille ha scritto una lettera aperta al Magnifico Rettore dell’Alma Mater e alla Ministra dell’Università Anna Maria Bernini. Si legge nella lettera:
Insomma, forse è presto per dire che l’italiano sta scomparendo. Le università propongono l’offerta formativa che ritengono più giusta per il panorama contemporaneo, e allo stesso tempo l’Accademia della Crusca fa il proprio lavoro, ossia osservare e preservare l’uso corretto della lingua italiana. Ciononostante, è impossibile non ravvisare segnali di un progressivo cambiamento nel nostro rapporto con l’italiano. Non sono ancora allarmanti, certo, ma potrebbero diventarlo in futuro come segnalato dall’Accademia della Crusca e non solo. A meno che non si agisca in tempo per invertirli, già a partire dalla scuola.