In classe c’è un bambino. Il suo nome è Primo. Primo ha deciso che vuole essere il primo in tutte le cose. Vuole essere il primo a rendere felici i suoi insegnanti, i suoi genitori, i suoi amici, vuole arrivare primo in tutte le cose per non deludere le persone intorno a lui, dare loro soddisfazioni, specchiarsi nei loro occhi e vedere orgoglio. Vuole essere visto e vuole sentire che è giusto.
Per essere primo, però, e rendere felici le persone per lui importanti, sa che dovrà essere ultimo. Dovrà essere l’ultimo a difendersi, l’ultimo ad avere paura, l’ultimo a fuggire. Anche se qualcosa davanti a lui farà molta paura, sarà qualcosa di spaventoso o sarà qualcosa di pericoloso, spiacevole, imbarazzante, Primo non ha dubbi: dovrà essere l’ultimo a fuggire, dovrà restare immobile e affrontare ciò che viene, anche se vedrà gli altri scappare, dire no, difendersi.
Come potrebbe rendere tutti orgogliosi di lui se non sarà l’ultimo a tirarsi sempre indietro?
Primo sapeva che per essere primo doveva essere ultimo in tante cose.
Così imparò a essere l’ultimo a chiedere aiuto.
Imparò a essere l’ultimo ad arrendersi.
A essere l’ultimo ad andarsene.
L’ultimo a riposarsi.
Solo così avrebbe potuto essere il primo nel cuore degli altri. E provava e riprovava, deciso a essere primo, rendendosi ultimo in ciò che pensava fosse brutto. Ma il tempo passò e intorno a lui tutti i suoi compagni diventarono primi in qualcosa.
Uno diventò il primo a picchiare, un altro diventò il primo a rubare, un altro ancora diventò il primo a prendere in giro gli altri.
E Primo imparò una cosa, non senza delusione: questi suoi compagni primi in cose sbagliate, erano anche i primi ad avere attenzione, considerazione, sguardi. Lui che era l’ultimo a ferire, disturbare, dare fastidio, era anche l’ultimo a essere visto, riconosciuto, apprezzato.
Osservava ciò che succedeva e pian piano imparò che forse, essere primo e tutti gli sforzi che ciò comportava, gli aveva procurato proprio ciò che non avrebbe mai voluto: essere ultimo.
Era buono e non lo sapeva perché nessuno lo aveva mai riconosciuto. Non è facile essere buoni se tutto ciò che ottieni è essere invisibile, trascurato, solo.
E si chiedeva se non avesse perso tempo a voler essere primo.
Anche i buoni più buoni del mondo ogni tanto hanno bisogno di una parola di incoraggiamento, una carezza, uno sguardo carico di orgoglio, per ricordare che ciò che fanno è giusto e continuare.
Vorrei dedicare questa mia libera interpretazione del racconto L’uomo più bravo del mondo di Gianni Rodari a quei bambini così tranquilli, così attenti, così puntuali e precisi, così disposti ad aiutare, da diventare invisibili agli occhi dei loro insegnanti, così impegnati quotidianamente a contenere e controllare i compagni più “impegnativi”.
Ma vorrei dedicarla anche a quei bambini che hanno talmente bisogno di amore da manifestarlo, spesso, nei modi meno amorevoli del mondo.
Che il cuore di noi insegnanti possa allargarsi, elasticizzarsi e ingrandirsi sempre, per regalare a ogni tipo di bambino le attenzioni e la cura che merita, i primi e gli ultimi, in egual modo, ciascuno secondo i suoi bisogni.