Non solo l’analisi della struttura linguistica delle lingue, ma sempre più frequentemente, la scuola italiana viene chiamata a insegnare le grammatiche della vita, specialmente in risposta agli eventi emotivamente intensi di cronaca nera che coinvolgono i giovani. Nei recenti mesi, gli episodi di violenza e tragedia che hanno scosso l’Italia, da Casalpalocco a Caivano, passando per Palermo fino a Vigonovo, hanno spinto sempre più a preparare preventivamente gli studenti di fronte a tali tragedie. Quando si tratta di educazione all’affettività e alla sessualità, sembra esserci un crescente consenso sulla necessità di passare dalla teoria alla pratica.
In effetti, alcuni si sono mossi in avanti su questo fronte. Un’indagine condotta dal portale Skuola.net rivela che in alcuni paesi, i programmi di educazione all’affettività e alla sessualità, integrati nei curricula educativi ufficiali, sono attivi da decenni. Paesi come la Svezia hanno introdotto l’educazione sessuale come materia obbligatoria sin dal lontano 1955, mentre in Germania ciò è avvenuto nel 1968 e in Francia è diventata legge nel 2001.
Purtroppo, l’Italia non fa parte di questo gruppo, ma non è sola in questa situazione. Un recente rapporto dell’UNESCO ha rivelato che su 25 paesi europei analizzati, solo 10 hanno implementato programmi di Comprehensive Sexuality Education (CSE) nelle scuole, andando oltre la semplice spiegazione del funzionamento degli organi riproduttivi o la prevenzione di gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili. Questi programmi, invece, abbracciano un approccio olistico che include aspetti come l’educazione emotiva, la gestione delle relazioni, il rispetto e il consenso.
L’Educazione Sessuale Completa si propone di fornire un insegnamento integrato che si concentra sugli aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità, integrandosi nelle indicazioni ministeriali esistenti anziché rimanere un’entità separata. In paesi che hanno adottato tali approcci, ci sono prove scientifiche che indicano un miglioramento significativo della situazione. I giovani informati sulla propria sessualità, salute sessuale e diritti hanno meno ansie legate alla “prima volta il prima possibile” e tendono a praticare il sesso in modo sicuro, prendendosi il tempo necessario. Inoltre, discutendo della pubertà prima che inizi e fornendo insegnamenti su rispetto e consenso, si riduce il rischio di violenza e abusi sessuali.
Questi risultati, ovviamente, richiedono l’adozione di pratiche specifiche e seguono linee guida ben definite. Le linee guida dell’ONU raccomandano che tali programmi siano comprensivi, accurati dal punto di vista scientifico e basati su programmi definiti, scoraggiando l’improvvisazione e l’approccio superficiale.
Inoltre, secondo il rapporto dell’UNESCO, solo il 20% dei 50 paesi analizzati ha una legislazione dedicata all’educazione sessuale, e solo il 39% ha avviato iniziative specifiche in questo ambito. L’UNESCO sottolinea che il diritto all’educazione affettiva e sessuale è cruciale non solo per la salute, ma anche per il pieno rispetto dei diritti umani e la promozione dell’uguaglianza di genere, obiettivi chiave dell’Agenda 2030 dell’ONU.
Gli studenti italiani sembrano essere favorevoli a esercitare questo diritto. Secondo l’Osservatorio “Giovani Sessualità” condotto da Durex in collaborazione con Skuola.net, il 93,7% degli intervistati ritiene che l’educazione alla sessualità e all’affettività debba essere parte integrante delle attività scolastiche, una pratica attualmente presente solo “occasionalmente”.
Daniele Grassucci di Skuola.net sottolinea che molte scuole italiane hanno l’autonomia per sviluppare programmazioni annuali di educazione sessuale, ma gli studenti segnalano che circa la metà di loro completa il percorso scolastico senza ricevere un’istruzione formale in questo ambito. In una società in cui i giovani sono esposti precocemente a contenuti sessuali, è imperativo abbandonare l’improvvisazione e adottare approcci più strutturati e pianificati.