Lo afferma lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet parlando di educazione e formazione: “Il raccontare è una forma straordinariamente efficace di pedagogia emotiva, uno strumento per costruire e saldare un rapporto affettivo“.
È innegabile, infatti, che in ogni dinamica pedagogica la relazione personale sia decisiva: al di fuori del contatto umano – inteso nel senso più vero e profondo del termine – non si dà alcun tipo di rapporto educativo.
Può, però, apparire curioso il fatto che la forma narrativa sia presentata come paradigmatica. Tuttavia, a ben guardare, il racconto si pone a tutti gli effetti come un modo autentico per cogliere le emozioni altrui e, allo stesso tempo, portare in scena le proprie. L’ascolto di una narrazione, dunque, porta ciascuno ad accogliere, per rielaborare e fare propri, i sentimenti dell’altro. Allo stesso modo l’esperienza del raccontare diventa occasione utile per offrire all’ascoltatore la propria percezione emotiva della realtà.
Per dare sostanza a queste parole sarebbe sufficiente chiedere a cento madri e cento padri di raccontare la propria versione del “Principe Ranocchio“. Ci si accorgerebbe presto di come, da una stessa fiaba, possano nascere differenti interpretazioni con focalizzazioni, tempi e sottolineature ben diverse.
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Dal punto di vista didattico, un aiuto consistente può arrivare dai testi dedicati esclusivamente alla lettura. “Meraviglioso” , ad esempio, corso di scuola primaria del primo ciclo da cui è tratta la lettura sopra, che si caratterizza per un approccio alla lettoscrittura mediante la presentazione in contemporanea dello stampato e del corsivo, presenta un ampio spazio dedicato alle narrazioni, fornendo strumenti utili per la comprensione e la rielaborazione personale da parte dei piccoli lettori.
“Se davvero volessimo bene ai nostri bambini – di nuovo Crepet – non avremmo mai smesso di raccontar loro le storie, avremmo continuato a stupirli con la fantasia”. Seguendo questa provocazione è facile intuire come, secondo il sociologo, la forma narrativa dovrebbe trovare ampio impiego da parte di ogni agenzia educativa, famiglia e scuola su tutte.
Questa particolare attenzione al mondo scolastico è dovuta al fatto che il raccontare stimola in ciascuno la strutturazione di un processo piuttosto articolato: è necessaria, in primo luogo, la comprensione della storia da parte del narratore, il quale, in un secondo momento, tenta di trasmetterne il significato pregnante; dopo aver colto eventuali feedback e reazioni da parte dell’ascoltatore, colui che racconta deve infine ricominciare da capo il processo, portando però con sé l’esperienza accumulata in precedenza.
Diventa allora evidente come la narrazione non sia un semplice strumento di stimolazione intellettuale, o una dinamica esclusivamente creativa. Essa coinvolge l’intera persona che, ascoltando e raccontando, viene provocata e stimolata anzitutto a partire dal proprio vissuto emotivo.