Quello dell’insegnante è un mestiere usurante. In tal senso si è espresso il governo, che, con l’approvazione della legge di bilancio, ha inserito anche i docenti della scuola primaria nell’elenco dei lavoratori usuranti.
Facili ironie e battute si sono ovviamente sprecate, nei mesi scorsi. I riferimenti alle vacanze estive e alle sole diciotto ore di lavoro settimanali non sono certamente mancati. Ed è comprensibile, purtroppo. Chi di noi lavora nel mondo della scuola sa bene che c’è chi vede nell’insegnamento un ottimo modo per sistemarsi, con determinate garanzie e senza troppo sforzo.
Una riflessione più approfondita e meno superficiale, però, mette in luce la vera questione: giungere a ricoprire il ruolo di docente è relativamente facile e, spesso, poco gratificante. La dinamica che si instaura è allora molto semplice: chi ha ottime qualità e capacità difficilmente decide di investire su di esse per metterle a frutto in ambito scolastico. Anni di studi e ricerche, uniti a ore e ore di tirocinio diretto, possono davvero essere ricompensati con uno stipendio che, per la categoria, è il più basso d’Europa?
A questo si aggiunge un secondo problema. Già da alcuni anni abbiamo notato che all’insegnante, ormai, non spetta più solamente il compito di istruire, educare e formare. Esistono invece numerose attività a cui è chiamato, che spaziano dalla burocrazia al confronto con famiglie e specialisti, passando per una sorta di consulenza psicologica a cui spesso è chiamato nel tentare di gestire i rapporti tra studenti, genitori o assistenti sociali.
Tutto questo porta ad un notevole carico di stress per i docenti, i quali si configurano come soggetti ad alto rischio di depressione, ansia, disturbi comportamentali e problemi di salute mentale. Ciò che più preoccupa di questa situazione, però, è che a pagarne il prezzo possano essere proprio i bambini e i ragazzi con i quali l’insegnante condivide il percorso formativo. Tutti noi, credo, abbiamo in mente ex insegnanti – o attuali colleghi – che hanno vissuto, o stanno vivendo, momenti particolarmente impegnativi, e sappiamo bene quanto il rischio che la ricaduta colpisca gli studenti sia alto.
A fronte di questo, però, va riconosciuta anche la presenza di numerosissimi docenti che, insieme a dirigenti e personale ATA, portano avanti il loro lavoro come una vera vocazione. Può essere allora considerato con una certa soddisfazione il riconoscimento del mestiere dell’insegnante come usurante. Si tratta però, in questo caso, di un punto di partenza.
Manca ancora una vera e attenta riflessione sul lavoro svolto dagli insegnanti della scuola secondaria – anch’essi spesso coinvolti in dinamiche che poco hanno a che fare con la didattica e la formazione – e sulla gratificazione, anche economica, che può essere riconosciuta a chi dedica la propria vita alla formazione degli adulti di domani.