Che l’innovazione tecnologica possa offrire grandi opportunità alla didattica non è certo un mistero. Fra sperimentazioni con l’intelligenza artificiale e dispositivi elettronici come strumento educativo, la scuola sembra ormai avviata verso il futuro.
Non tutti sono tuttavia d’accordo. Se infatti è vero che tecnologia e opportunità vanno spesso insieme, allo stesso tempo è bene ricordare quali sono i rischi di un abuso di questi strumenti, a partire dalle intelligenze artificiali. A farlo è Vincenzo Schettini, docente di fisica e creatore del progetto La Fisica Che Ci Piace, in un’intervista a Fanpage .
COSA NE PENSA Schettini
Quando si parla di intelligenza artificiale a scuola si intende uno strumento che possa contribuire ad un miglioramento generale della didattica. Eppure non sempre è così, e anzi spesso studenti e docenti finiscono per utilizzare le IA in modo improprio e dannoso. Vincenzo Schettini si dice molto preoccupato da questo trend, che reputa pericoloso:
Il rischio è che gli studenti facciano il tema con l’intelligenza artificiale, e i professori correggano i compiti con l’intelligenza artificiale. E così si chiude il cerchio. […] Questo è uno strumento estremamente potente, messo in mano a un genio è un conto, se viene dato a un quattordicenne è molto diverso.
Se insomma il 40% degli insegnanti si dice favorevole all’uso dell’intelligenza artificiale a scuola, come riporta una recente indagine, bisogna capire in che senso, quali sono i rischi e quali le opportunità.
Il problema, continua Schettini, è che l’uso dell’IA può contribuire al calo delle capacità di ragionamento e problem solving degli studenti. Se per ogni problema trovano una scorciatoia, che si chiami ChatGPT o Gemini, potranno mai imparare qualcosa?
Cosa fanno gli studenti con l’IA
In effetti, spesso l’intelligenza artificiale viene utilizzata non tanto come strumento di supporto agli studenti bensì come mezzo creativo per aggirare i compiti scolastici. Continua il docente:
Utilizzando strumenti come ChatGPT smettono di pensare, perché a 14 anni non hanno la maturità di capire che serve un metodo di studio. […] Per esempio mi ha colpito moltissimo questa cosa che mi ha raccontato una madre, ovvero che suo figlio ha chiesto di scrivere un tema sul secondo capitolo de I promessi sposi di Manzoni inserendo nel tema gli errori che farebbe un quattordicenne.
Ciò vuol dire che gli studenti sanno benissimo come funzionano gli strumenti che oggi definiamo intelligenze artificiali, e che in realtà sono modelli di linguaggio predittivi e probabilistici. Allo stesso tempo vuol dire che, messi di fronte ad una scorciatoia, gli studenti saranno sempre tentati di sceglierla.
Il comportamento è, secondo Schettini, una conseguenza dell’iperstimolazione a cui sono sottoposti i giovani, che vivono in uno stato di costante distrazione. Questa situazione influenza negativamente la loro capacità di concentrazione e di elaborazione critica, e porta a ricorrere alle intelligenze artificiali sempre più spesso.
Esiste una via d’uscita?
La soluzione c’è, ricorda il docente influencer, e dipende in gran parte dal ruolo della scuola, ma non solo. Sono necessari investimenti sull’innovazione tecnologica e attenzione alla consapevolezza nell’uso degli strumenti digitali. Per non parlare della formazione retribuita dei docenti, unico modo per invertire la tendenza.
E poi, ovviamente, c’è anche l’elemento umano: se l’insegnante sa che uno studente userà l’intelligenza artificiale per risolvere un compito, allora deve ingegnarsi per rendere il compito più stimolante:
Quando spiego il dinamometro, lo strumento di misura della forza, chiedo come compito a casa di costruirne uno. E non puoi fartelo fare da ChatGPT.
Di fronte alla ricerca di scorciatoie, è insomma fondamentale che i docenti trovino nuovi modi per stimolare i loro studenti a fare di più, ad essere di più.
E non soltanto gli utilizzatori passivi di una scorciatoia, o poco altro.