Gli adulti che stanno vivendo questo periodo storico si sentono smarriti, impauriti, disorientati. A faticare a rispettare le regole sono gli adulti, a uscire e riunirsi in gruppi quando non sarebbe consentito sono gli adulti, a faticare a indossare mascherine e dispositivi di sicurezza sono gli adulti.
Ovviamente questa è una generalizzazione, la stragrande maggioranza degli adulti le regole le rispetta… ma tra chi non le rispetta, spesso, non ci sono i bambini.
I bambini hanno accettato da subito ogni regola: mascherine, giochi più distanziati, banchi con il plexiglass, fine degli sport, visite ai nonni più rare o inesistenti, didattica a distanza con tutti i problemi relativi a connessioni poco veloci, dispositivi mancanti o non adatti… i bambini come sempre si sono adattati. Non senza esprimere, talvolta, fastidio, disagio e a tratti sofferenza. Ma i bambini hanno deciso di continuare a vivere accettando le regole e impegnandosi a rispettarle, spesso, molto più degli adulti, con l’unico obiettivo di continuare a essere bambini.
Gli adulti intorno a loro, che davvero si sentono smarriti, hanno gradualmente iniziato a proiettare sui bambini le loro angosce. Hanno spostato il loro peso sui bambini, definendo i bambini vittime.
I bambini sono molto saggi. Sanno che le privazioni non dureranno per sempre e prima o poi potranno riprendere la loro vita. Non necessariamente questa esperienza sarà per loro uno stigma, un marchio, una partenza in ritardo.
Come ha dichiarato Massimo Recalcati qualche mese fa a La Repubblica : “Non ci sarà nessuna generazione Covid a meno che gli adulti e, soprattutto, gli educatori ed insegnanti non insistano a pensarla e a nominarla”.
L’immagine che i bambini di oggi avranno quando saranno adulti dipende da chi è adulto, ora, intorno a loro. I più giovani si rispecchiano in noi e sta a noi rimandare loro messaggi positivi. Non la positività tossica, forzata e ipocrita dell’”andrà tutto bene”, del sorridere e dell’allegria in ogni situazione, ma una propositività reale e costruttiva che spinga a cercare i punti di forza che questa esperienza ci ha portato a maturare. Perché non si può accettare che tutto il dolore, la perdita e la restrizione passino senza darci qualcosa di positivo da portare nel futuro.
Invece di dire che i bambini e i ragazzi sono vittime, li si può ammirare per il fatto che siano la prima generazione a essere stata in grado di adattarsi velocemente, letteralmente da un giorno all’altro, a nuove condizioni e nuovi modi di vivere, studiare, crescere. La prima generazione che ha imparato sul serio ad apprezzare ciò che noi abbiamo sempre dato per scontato, la libertà, la socialità, e probabilmente in futuro sapranno gestirle meglio e con più attenzione. Una generazione che sta maturando competenze digitali preziosissime che, piacciano o no, sono il futuro del mondo del lavoro.
Ciò che vedranno allo specchio “da grandi”, vittime che hanno perso ore di scuola in presenza e per questo hanno qualcosa in meno, oppure vincenti che hanno saputo tirare fuori il meglio da una situazione di sfida, dipende dall’immagine che noi adulti stiamo restituendo loro adesso.
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