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OPINIONI

Non è la pedagogia il male della scuola

Questa fase violenta aperta dalla pandemia ha in qualche modo accelerato i quesiti relativi ai ruoli che le discipline, le scienze umane, la riflessione scientifica hanno svolto in relazione a diversi aspetti della prospettiva scolastica e ci siamo improvvisamente accorti che senza riflessione, organizzazione, progettazione, visione strategica non può esserci alcuna pratica educativa capace da sola di superare ed escogitare strategie per superare gli ostacoli imposti dalla realtà esterna.

Spesso abbiamo letto e ascoltato, anche da parte di alcuni insegnanti, che “le cose a scuola sono peggiorate da quando si è dato ascolto ai pedagogisti”, un’affermazione generalista che nasconde una certa diffidenza circa la comprensione e la nebbia che da troppo tempo ha avvolto il ruolo della pedagogia e dei pedagogisti soprattutto nell’analisi dei contesti scolastici.

Spesso questa diffidenza è stata ampliata da una prevalenza degli approcci disciplinari privi, soprattutto per il passato, di qualsiasi riferimento alle scienze dell’educazione; bastava aver conseguito il titolo di studio nel proprio ambito disciplinare per potersi avvicinare al complesso mondo dell’insegnamento senza ulteriori approfondimenti di carattere educativo.

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Questa possibilità ha di fatto nascosto per decenni una serie di principi educativi che sarebbero dovuti essere motori di un approccio all’insegnamento consapevole, flessibile, critico e problematico. Si è dato più volte adito all’idea che una buona guida scolastica link esterno, metodi preconfezionati come istruzioni di montaggio dei mobili Ikea, una serie di parametri descritti e applicati potessero sostituire un docente capace di conoscere la propria disciplina, comprendere le dinamiche apprenditive dei propri alunni, comprendere la trasformazioni della società e riadeguare completamente e continuamente il proprio approccio con la classe ed anche con la propria professionalità.

È proprio in questa funzione di capacità critica, di analisi dei sistemi, di comprensione delle dinamiche sociali e di sistema, di organizzazione metodologica, di progettazione dei sistemi digitali e degli ambienti di apprendimento che si esplica la funzione del pedagogista. Un sapere che esercita la sua funzione se è in grado di coniugarsi con la società, se è in grado di farsi portatore di trasformatività e se soprattutto pone il docente nella condizione di pensare se stesso come promotore di processi nuovi ogni giorno, ogni mese, ogni anno.

Dunque la pedagogia oltre a tutte le sue componenti epistemologiche potremmo definirla come “approccio consapevole all’azione educativa”. Troppo spesso invece abbiamo inteso affidare il ruolo complessivo della riorganizzazione scolastica ai ruoli propri della dimensione scolastica, dei tecnici ministeriali, altrettanto necessari e assolutamente fondamentali, ma parziali e naturalmente non in grado di guardare al fenomeno educativo nella sua totalità che è fatta “anche” di scuola ma non “solo” di scuola.

L’auspicio è che dopo questa fase così complicata si torni a dar il giusto peso alla dimensione complessiva dell’educativo senza pregiudizi e soprattutto con la forza di una prospettiva scientifica matura.

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