Le polemiche sulla scuola e sul sistema educativo si accompagnano spesso alle critiche ai nuovi giovani. Non sanno usare un italiano corretto, non sanno scrivere in modo strutturato, non sanno collegare gli argomenti. Insomma: i giovani non sono più quelli di una volta, si potrebbe dire. La pensa diversamente Paolo Sarti, pediatra e professore universitario, che in un interessante articolo sul Corriere Fiorentino identifica una causa ancora più profonda. E non si tratta soltanto di scrittura.
Le critiche all’educazione digitale
Secondo Sarti, le critiche ai giovani che hanno carenze nella scrittura e non sanno svolgere temi in modo strutturato non sono poi così ben dirette. D’altronde, sostiene lo specialista, viviamo in un periodo storico dove non si è mai scritto così tanto e, se possiamo aggiungere, non si è mai letto così tanto. I giovani si scambiano messaggi e scrivono commenti, visitano pagine web e utilizzano le app da smartphone e tablet. Insomma: scrittura e lettura sono più vive che mai.
Per Sarti, quella che si sta perdendo è la capacità di comprendere un testo e saperlo riassumere, esponendolo con chiarezza. O, ancora più importante, la capacità di argomentare in modo chiaro e comprensibile. Più che ai giovani, quindi, la critica andrebbe diretta all’educazione digitale e al modo tutto italiano con cui è stata implementata nella scuola pubblica. Ma cosa dovrebbe fare la scuola? Continua Sarti:
Dal digitale alla scrittura manuale: un fil rouge al contrario
La critica all’istruzione digitale porta, quasi in un percorso a ritroso, alla rivalutazione della scrittura manuale. Non si tratta tuttavia soltanto del classico secondo cui “ai miei tempi si stava meglio”. La scrittura a mano stimola infatti molte più aree del cervello rispetto a quanto faccia la mera scrittura sulla tastiera di un computer. Vengono coinvolti il sistema nervoso, certo, ma anche il sistema sensoriale e il sistema motorio.
Inoltre, scrivere a mano permette di organizzare meglio le informazioni e quindi di ricordare con più efficacia, pensare in modo astratto e creativo, collegare argomenti. Proprio le mancanze che, secondo Paolo Sarti, hanno i giovani di oggi, ossia una generazione nata e cresciuta con la tecnologia.
Scrivere a mano richiede inoltre, l’uso di supporti diversi, strumenti diversi, sensi diversi, con ricadute per l’apprendimento da non sottovalutare. Non è un caso che siano in tanti a rivalutare la scrittura manuale, pur non disconoscendo i meriti dell’educazione digitale. Come in molti ambiti, la soluzione non sta nella cesura completa quanto nel trovare un equilibrio vantaggioso per tutti.
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Dovremmo tornare a scrivere in corsivo
Bisogna salvare l’educazione digitale, quindi, ma riuscire a inquadrarla in un sistema che riesca a coinvolgere le menti dei giovani studenti, anche mediante la scrittura a mano. Ma non è tutto qui, perché secondo Sarti dovremmo anche tornare a scrivere in corsivo.
A dimostrare la complessità della situazione, il pediatra menziona anche i contenuti della cultura digitale. La loro fruizione è così immediata che non coinvolge nemmeno la memoria a lungo termine. Il risultato? I giovani leggono tantissimo ma non ritengono nulla, scrivono tantissimo ma non collegano nulla. O poco più.
Il percorso verso una soluzione è chiarissimo, ma non semplice da attuare. Apprendimento digitale e tradizionale possono coesistere e risolvere le mutue mancanze, soltanto se implementati correttamente. Senza dimenticare le loro rispettive complessità, nonché la rispettiva importanza per l’educazione dei giovani, e non solo.