È abbastanza diffusa l’idea secondo cui la scuola contribuisca ad aumentare lo stress degli studenti e, da un certo punto di vista, non è sbagliato pensarlo. In tutta Italia alcune classi provano a sperimentare le classi senza voti e a limitare i compiti a casa, proprio per evitare che succeda. Eppure, non tutti sono d’accordo: secondo la psicologa e psicoterapeuta Maura Foresti, intervenuta su Avvenire , la scuola è necessariamente una fonte di stress, altrimenti non potrebbe svolgere la sua funzione educativa. Ma è davvero così?
Pandemia e stress negli studenti
Il punto di partenza per le riflessioni di Maura Foresti è una ricerca tutta italiana pubblicata sul Journal of the American Medical Association . I ricercatori hanno condotto uno studio sugli oltre 13 mila accessi al pronto soccorso da parte degli adolescenti italiani avvenuti fra 2018 e 2021. Contrariamente alle previsioni, la pandemia non ha affatto aumentato gli accessi legati a emergenze psichiatriche acute o tentativi di suicidio, mentre la ripresa delle lezioni in presenza ha fatto segnare un aumento del 18%.
Si tratta di uno studio che ben si collega all’idea secondo cui la scuola mette sotto pressione i giovani e contribuisce ad aumentare il loro stress. Con la didattica a distanza, invece, gli studenti hanno potuto contare su una riduzione dello stress legato alle loro performance scolastiche. Il problema è reale, tanto da sfociare spesso in proteste e occupazioni, ma potrebbe non riguardare la scuola.
La scuola è PER FORZA fonte di stress
Secondo Maura Foresti, infatti, basarsi sui dati dello studio italiano potrebbe non bastare per comprendere le cause del problema. Alcune interpretazioni della ricerca, infatti, sembrano additare la scuola come unica responsabile del maggiore stress e delle pressioni avvertite dagli studenti, ma il quadro è molto più complesso. Secondo la psicologa e psicoterapeuta, è normale che la scuola sia una fonte di stress:
Se non lo fosse, ovviamente in una misura ragionevole, non svolgerebbe la sua funzione educativa. […] A noi stessi e ai ragazzi ripetiamo “se vuoi, puoi”, ponendo così l’accento sulla produttività e instillando un eccesso di positività che non contempla mai il limite, la frustrazione o la sofferenza. La vita, però, non è così: bisogna confrontarsi con delusioni e fragilità.
Insomma, è importante insegnare ai ragazzi quali sono gli aspetti meno piacevoli dell’esistenza e come affrontarli in modo consapevole. Secondo Foresti, durante la pandemia gli studenti hanno affrontato i propri disagi in solitudine, ed è soltanto con il ritorno alle interazioni sociali che questi si sono manifestati e sono diventati insopportabili. Il problema non riguarda quindi soltanto la scuola, quanto la società tutta.
Un problema sociale
Dire che l’aumento dello stress nei giovani non riguarda soltanto la scuola ma la società intera non vuol dire sminuire le responsabilità del contesto scolastico. Disorganizzazione e inadeguatezza dell’istituzione, didattica antiquata e metodi di insegnamento fanno parte di un unico problema sistemico. Allo stesso tempo, però, è la pressione sociale che influisce in modo diretto sul benessere degli studenti, come ricorda Maura Foresti:
Oggi si tende a fare figli spesso unici a età sempre più avanzata. Questo fa sì che si investano i figli di molte aspettative e del compito di mostrare le abilità dei genitori attraverso la loro riuscita: tutti vorremmo un figlio geniale o campione. E così, se la scuola non certifica ogni talento o il figlio non brilla come atteso, il mondo crolla.
Il disagio si esprime a scuola perché a scuola i ragazzi passano gran parte del loro tempo, ma riguarda l’intera società e l’insieme delle loro interazioni. Allora il problema non è tanto lo stress causato dal contesto scolastico, quanto l’inadeguatezza della scuola nell’insegnare come affrontare questi momenti di sconforto e frustrazione. Detto in altri termini, la chiave non è eliminare lo stress, ma aiutare gli studenti a gestirlo e ad affrontare le sfide della vita con maggiore consapevolezza.