Dall’inizio della didattica a distanza, l’anno scorso, ogni bambino ha provato una moltitudine di emozioni diverse.
C’è chi si è adattato quasi subito, prendendo velocemente dimestichezza con piattaforme per videolezioni e funzione mute, inizialmente orgoglioso delle proprie cuffie e del proprio microfono, c’è chi ha faticato di più, chi ha avuto bisogno dei suoi genitori accanto e chi preferiva seguire le lezioni da solo e chiedere aiuto solo se necessario.
Fermo restando che ognuno ha tempi di adattamento diversi e nessuna emozione o bisogno sono sbagliati, a tutti è stato strappato via un pezzo di scuola: la didattica a distanza non è semplice, sia per i bambini più “tecnologici” sia per i bambini che hanno meno padronanza dei dispositivi.
Gli insegnanti, pure, hanno dovuto mettere in campo nuove risorse . Cercare modi nuovi per insegnare, per rendere piacevoli o divertenti lezioni che, svolte da un computer, perdono molto del loro potenziale, far fronte al rischio di annoiare, cercare di non lasciare indietro nessuno, ripetere per chi a causa di una connessione che è caduta non ha sentito, cercare di capire con il cuore cosa succede al di là dello schermo.
Sì, perché spesso lo schermo non mostra fino in fondo le reali emozioni dei bambini. I primissimi giorni di didattica a distanza di quel maledetto marzo 2020 c’è stato chi sembrava che nella vita non avesse fatto altro, ma abbiamo anche visto bambini nascondersi perché inizialmente non riuscivano a sostenere questo tipo di contatto, bambini cercare conforto nei propri genitori e nei propri animali (non sempre in quest’ordine), bambini piangere.
E faceva male.
Se già vedere un bambino piangere “dal vivo” è dura e si vorrebbe fare di tutto, trovare tutte le parole o gli abbracci possibili per alleviare quel pianto, da dietro uno schermo ci si sente impotenti e anche un po’ falliti.
E anche un po’ nel panico.
Quanti pianti probabilmente non abbiamo visto perché, se si vuole, ci si può nascondere dalla telecamera? Quante tristezze o frustrazioni di cui non sapremo mai? Quanti genitori probabilmente non se la sentono di intervenire durante la lezione per chiedere aiuto per il proprio figlio?
I bambini provano disagio quando svolgono un compito e rimangono indietro o non capiscono, non riescono a stare al passo. Alcuni lo esprimono, alzano la mano, chiedono spiegazioni, altri no: è per questo che le maestre e i maestri non stanno mai fermi, “girano per i banchi” per controllare se è tutto a posto sui quaderni, che tradotto significa cercare di capire se i bambini stanno bene o si stanno agitando perché hanno difficoltà in qualche attività.
Girare per i banchi, durante la dad, ovviamente non è possibile e si può solo chiedere loro di fare un cenno se va tutto bene, di alzare la mano se sono rimasti indietro, rassicurarli mille volte che non verranno ignorati se “si perderanno”.
Per i più piccoli l’aiuto di un adulto durante la dad è fondamentale. Mi sento di dire che la sfida non sia solo dei bambini ma anche dei genitori, che sono presenti e sono di grande aiuto agli insegnanti, nonostante siano anche loro presi da smartworking, incombenze di casa, figli più piccoli o altri figli in dad a cui fornire supporto.
L’adulto vicino al bambino, durante la didattica a distanza, è il secondo paio di occhi dell’insegnante: è ciò che si sostituisce al nostro “girare per i banchi”, una grande rassicurazione per i bambini.
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