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OPINIONI

Valditara dovrebbe posare il telefonino e smetterla di riprodurre per la scuola lo schema dell’algoritmo dei social network

La nuova scuola proposta da Giuseppe Valditara non sembra aver incontrato il favore di buona parte dell’opinione pubblica e del mondo culturale italiano. Il ritorno del latino alla secondaria di primo grado e della Bibbia alla primaria, entrambe iniziative fortemente volute dal Ministro, hanno infatti generato un dibattito acceso tra favorevoli e contrari. Eppure, molte delle voci non criticano tanto i contenuti quanto il metodo.

Per esempio secondo Tomaso Montanari, Rettore dell’Università per Stranieri di Siena, questa riforma ha alla base quello che potremmo definire un peccato originale: funziona come l’algoritmo dei social.

Bibbia, storia e geografia

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In un’intervista rilasciata al quotidiano Il Fatto Quotidiano link esterno, Tomaso Montanari muove alcune critiche alla riforma della scuola voluta dal Ministro Valditara. E il primo bersaglio è proprio l’introduzione della lettura della Bibbia alla scuola primaria. Queste le parole del rettore:

Se si impara a leggere criticamente si può leggere tutto, il problema è come si insegna ai ragazzi a formare un giudizio, altrimenti diventa una specie di catechismo. La Bibbia va letta, come tutto il problema è come la leggi.

Se il ruolo della scuola è insegnare a pensare, allora, è possibile leggere di tutto a patto che lo si guardi con occhio critico. Il problema sorge nel momento in cui questa consapevolezza viene a mancare, dinamica che si nota anche nella separazione fra storia e geografia.

Il ritorno del latino

La nuova scuola di Valditara infatti separa le due discipline, un grave errore secondo Montanari perché non è possibile comprendere la storia di un popolo senza conoscere la sua geografia, e viceversa.

Per non parlare della decisione di limitare lo studio su Italia, Europa e Stati Uniti, ignorando il resto del mondo e rafforzando una visione parziale e autocelebrativa del mondo, o di riportare lo studio del latino alle scuole secondarie di primo grado. Ecco le parole di Montanari su quest’ultimo punto:

Dipende come lo facciamo, non vedo perché subito alle medie, e lo dico da figlio di due filologi classici. Mi pare un inutile vezzo, chi decide di fare il liceo lo studierà lì. Mi sembra davvero una nostalgia diciamo gentiliana e se c’è un modo per far stare sulle scatole la cultura classica questa è la strada giusta.

Il ritorno del latino sarebbe nostalgico di un certo modo di fare scuola o, peggio, del tutto ideologico. Secondo il Rettore dell’Università per Stranieri di Siena, infatti, per studiare il latino in modo efficace è necessario un approccio strutturato e maturo, com’è quello proposto al classico o allo scientifico.

Di conseguenza, la reintroduzione rischia di allontanare i ragazzi piuttosto che avvicinarli alla materia.

A cosa serve davvero la scuola?

Come dicevamo nell’introduzione, piuttosto che verso i singoli provvedimenti le critiche sono rivolte all’impianto di fondo. Tomaso Montanari sostiene infatti che la nuova scuola di Valditara sia molto più orientata a confermare un’identità culturale predefinita, e non a promuovere un’autentica crescita culturale dell’individuo. Il punto fondamentale è proprio questo, ossia chiedersi a cosa serva davvero la scuola:

Elon Musk dice che la scuola serve a imparare “a fare”, io invece penso che serva a imparare a pensare. Valditara mi pare che pensi prima di tutto a confermare la nostra identità. L’idea ossessiva di tramandare la tradizione rivela in fondo che c’è qualcosa che non funziona nel resto del mondo che non la insegna. È un’idea reazionaria, nel senso di reazione alla realtà.

Insomma, storia e geografia si separano alla primaria e si concentrano soltanto su ciò che è vicino. Il latino torna alle medie, destinato ad essere vissuto come un’imposizione da parte degli studenti. La Bibbia diventa parte della scuola primaria, protagonista di una scuola reazionaria e identitaria.

Secondo Montanari la riforma di Valditara si limita a riproporre il passato, chiudendosi in una visione autoreferenziale del mondo e dell’Italia. Una visione che, per definizione, non può che essere limitata.

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